UNIONE ITALIANA LAVORATORI METALMECCANICI

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Periodico nazionale di informazione della Uilm
ANNO VI - NUMERO 8 Novembre 2001

Non solo l'articolo 18

Sicuramente è l'argomento più importante dal punto di vista mediatico e simbolico: lo è diventato grazie all'accanimento ideologico di alcuni commentatori, frustrati e, quindi, ulteriormente inviperiti dalla scelta del governo di non intervenire sulle pensioni di anzianità. Ma nel disegno di legge delega, approvato dal Consiglio dei Ministri del 15 c.m., non è soltanto la modifica dell'articolo 18 della legge 300/70 a destare preoccupazione e contrarietà nel fronte sindacale.
Certamente la prospettata esclusione, per quanto sperimentale (definizione che però dovrebbe preoccupare moltissimo visto, per esempio, quanto è avvenuto per gli esami di maturità), dall'applicazione della reintegrazione del lavoratore licenziato senza giusta causa, o giustificato motivo, nel proprio rapporto di lavoro è giustamente contestata dal Sindacato nel suo insieme.
Questa norma è stata sottoposta a referendum in tempi recenti e, per quanto non si sia raggiunto il quorum per la validità legale di questa consultazione, l'esito referendario ha chiarito senza dubbi la volontà degli italiani: la norma deve rimanere così com'è! Si tratta di un dato che le forze politiche dovrebbero valutare attentamente, sicuramente con maggiore attenzione rispetto a quella che dedicano ai sondaggi, con campioni che superano di poco il migliaio di intervistati.
Nel merito, poi, l'ambito dell'esclusione e, in particolare per quello che la prevede nel caso di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato, rischia di essere, da un lato, così ampio da diventare una generalizzazione della norma, in quanto l'accesso al lavoro per i giovani ormai avviene attraverso forme contrattuali "flessibili", perpetuando e prolungando la precarietà e quindi una riduzione di diritti di queste persone anche dopo la trasformazione del rapporto in tempo indeterminato. Dall'altro lato, viene da pensare, con un po' di malizia, che si sta tentando di disattivare quanto previsto dal recente decreto sui contratti a tempo determinato circa la necessità di un reale motivo (tecnico, organizzativo o produttivo) per l'apposizione di un termine al rapporto di lavoro. Come Uil abbiamo voluto fortemente questa norma, anche a costo di una frattura con la Cgil. Sarà, quindi, possibile eliminare o almeno ridurre gli abusi che le imprese fanno del contratto a tempo determinato.
Scrivevo, all'inizio, che non è solo il tema delle modifiche all'articolo 18 che ci preoccupa e ci trova contrari. Ci sono, per la verità, una serie di indicazioni in linea generale condivisibile, anche se da verificare nel merito, quale quella sul collocamento; quella sul riordino degli ammortizzatori sociali, tema su cui pesano i ritardi del precedente governo; quella sulla certificazione del rapporto di lavoro e sulla possibilità di verificare forme contrattuali che possano coniugare flessibilità nell'utilizzo della manodopera con la tutela e la stabilizzazione del rapporto di lavoro.
Un esempio di come ciò possa essere realizzato, può venire riproponendo l'esperimento del "job on call" che abbiamo tentato alla Zanussi e che , per la mancata comprensione delle tutele che questo istituto offriva, è stato precipitosamente rifiutato dai lavoratori. Il contratto "a chiamata", così come definito in quell'ipotesi di accordo, era un contratto a tempo indeterminato, prevedeva interventi formativi e, soprattutto, il diritto del lavoratore "a chiamata" di trasformare il proprio rapporto in uno a tempo pieno dopo tre anni e in caso di nuove assunzioni. Per il sindacalista la domanda dovrebbe essere: queste tutele sono peggiori di quelle che offre il lavoro interinale?
Due punti della delega, in particolare, ci preoccupano, per gli effetti in sè e perché si possono ritenere sintomatici di due tendenze assolutamente non condivisibili: si tratta di quanto si intravede al punto d) dell'articolo 7 (riforma del part time) e della possibilità del giudizio secondo equità degli arbitri (punto d), articolo 12).
Sul part time, la norma, così vasta e generica, potrebbe consentire anche di abolire il diritto del lavoratore a part time nella richiesta di trasformare il rapporto in lavoro a tempo pieno in caso di nuove assunzioni; un'esigenza che ci risulta essere stata avanzata da alcuni rappresentanti datoriali nelle discussioni al Ministero del Lavoro. Acconsentire a tale richiesta, predisporre la delega in modo da poterlo fare, significa, da un lato, disincentivare il part time, almeno per tutti coloro che hanno un minimo di possibilità di impieghi alternativi, e dall'altro, aumentare semplicemente il potere discrezionale del datore: quindi, aumentare la possibilità di vessazioni nei confronti del dipendente a part time. Non è certo riducendo i diritti che si motivano le risorse umane.
Sull'arbitrato e sulla possibilità di pronunciarsi secondo equità, si riscontra altresì una questione di merito: se facciamo contratti tra noi e le Associazioni datoriali è perché siano applicati.Potremmo scriverli meglio e con più chiarezza, ma una volta scritti vanno applicati e non possono essere disapplicati da un arbitro. Lo stesso deve valere per le leggi approvate dal Parlamento. Ma la pressione che la Confindustria esercita da tempo sulla questione dell'arbitrato secondo equità, ci lascia, oltre che contrari, perplessi: infatti o è divenuta una questione ideologica, una "bandiera" fondata sull'italica tendenza a prendersela con l'Arbitro quando si perde, o si spera, sbagliando, che gli "arbitri" siano più sensibili dei giudici alle ragioni dell'impresa.
Non ci risulta che i giudici siano così particolarmente e pregiudizialmente favorevoli ai dipendenti: si pensi all'"invenzione" del comporto per sommatoria o a come, di fatto, la normativa sul diritto allo studio nel contratto dei metalmeccanici sia stata fortemente depotenziata dall'intervento della Magistratura. Ma non si capisce perché gli arbitri dovrebbero mostrare un atteggiamento maggiormente "pro business". A meno che pensino di poterli scegliere loro e da soli.
Vorrei concludere con una riflessione: la Uilm a luglio ha scelto di firmare senza la Fiom il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, proprio perché quella Organizzazione ha assunto atteggiamenti di chiusura ideologica che di fatto impedivano il confronto; ho la sensazione che anche in Confindustria, in una parte di essa, vi sia un analogo, speculare atteggiamento. Questo non fa bene alle relazioni industriali, non è utile ai lavoratori nè alle imprese. Le parti devono essere messe in condizione di lavorare e produrre con la maggiore serenità possibile. Purtroppo, il contesto economico internazionale è quello che è.
Luca M. Colonna

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