Periodico nazionale di informazione della Uilm
ANNO VI - NUMERO 8 Novembre
2001
Lo spartiacque del
cielo
In un momento di grande tensione
internazionale, nel quale l'aeroplano è stato protagonista per niente
volontario ma scomodo, dobbiamo parlare di un aereo militare che sta
diventando il pomo della discordia sia di una classe politica, che
dell'intera Unione Europea. E' l'A-400M di Airbus, un programma
industriale europeo nel quale l'Italia sta provando ad affacciarsi da
lungo tempo, non tanto e non solo per opportunità di mercato, ma per
sua competenza e capacità di progetto.
Da sempre avremmo voluto che l'apparato di Stato, specie quello
nostrano, avesse dedicato maggiore attenzione al mondo aeronautico,
certo non nell'equazione assurda che associa continuamente la
maestosità di un aereo intercontinentale con le immagini delle Torri
Gemelle che crollano. Dopo gli attentati di New York e Washington, è
vero che il mondo sta vivendo una nuova vita, ma è un grosso errore
paventare che siano stati degli aerei di linea ad esserne i
responsabili. Sappiamo bene che l'aereo ha cambiato lo stile di vita
dell'umanità già da poco meno di un secolo fa; le mani sapienti di due
fratelli, fabbricanti di biciclette, fecero alzare per qualche metro un
trabiccolo di legno da una ventosa spiaggia della Carolina del Nord, un
piccolo salto che fu un balzo in avanti enorme per l'intera umanità.
Questo ci piace ricordare, come mondo che cambia e siamo persuasi che
non sarà un manipolo di terroristi a chiudere questo processo.
In Italia -si diceva- non si parla mai molto di aerei. Oltre a qualche
aspetto rocambolesco e la voglia che hanno diverse emittenti televisive
di trasmettere film pieni di eventi nefasti, specie nei periodi estivi
quando è maggiore l'affluenza al trasporto, deve accadere proprio
qualcosa di particolarmente grave perchè le copertine dei giornali o le
televisioni si ricoprano di ali. Una questione molto amara, se si pensa
che la presenza di un'industria aeronautica forte, per una nazione è
l'indice del suo progresso tecnologico. Nella sola Italia l'area
costruttiva impiega 50.000 persone e ogni anno fattura 14.000 miliardi
di lire, di cui 8.000 miliardi per esportazione. E per i servizi, una
compagnia aerea di grosse dimensioni assicura i collegamenti anche con
le parti più remote del mondo, incrementando il commercio e le
relazioni umane. Poi si potrebbe anche aggiungere che una forza aerea
efficace, rappresenta una sostanziale barriera ad invasioni del proprio
territorio e la relativa invulnerabilità, ma questo porterebbe qualche
lettore benpensante a storcere il naso ed accusarci di simpatia per
l'arte bellica, cosa che non è per niente esatta.
Parliamo di un aereo militare: un aereo da trasporto che dovrebbe andare
a sostituire ovvero rimpiazzare il segmento di carico delle aeronautiche
militari di mezz'Europa. Il condizionale è d'obbligo, dal momento che
in caso di mancata decisione da parte di clienti di spicco -tra questi
l'Italia- il programma potrebbe saltare. Gli investimenti sono tali da
non potersi permettere smagliature nell'affare.
Senza voler ripercorrere quella che è stata l'affascinante storia di
Airbus Industrie, cemento e parte integrante della costruzione della
Casa Europea e nemmeno a parlarne, delle ripercussioni che il mancato
ingresso del nostro Paese nel Consorzio ha avuto sull'industria
nazionale, val la pena ricordare che l'Italia annunciò la sua
partecipazione al programma A-400M del valore di 18 miliardi di dollari
già a luglio del 2000. La cosa non era sicuramente campata in aria, dal
momento che l'industria italiana ha maturato fin dal dopo guerra
un'esperienza molto forte nelle costruzioni di aerei da trasporto
militare: una capacità consolidata addirittura ai primi anni Sessanta,
nei quali si pianificava la realizzazione del G 222 da parte di Fiat
come capocommessa ma che visse, sia pur per quote, la partecipazione di
tutte le industrie nazionali del settore. Un impegno di spessore assai
elevato, per un aereo che ancora oggi è sul mercato e che ha mostrato
un vasto interesse commerciale per gli Stati Uniti, che del prodotto ne
sono patria. Che l'aereo non fosse gradito a certi comparti governativi
lo si era cominciato a capire già dalla fine dell'estate e certo non
sarà stato l'11 settembre ad aver fatto cambiare idea. Un aereo
militare rappresenta sempre una spesa onerosa e specie i nuovi programmi
destano preoccupazioni per nuovi studi, nuovi rischi, nuovi
investimenti. Ammettiamo che siano stati questi i punti che abbiano
fatto discutere, riflettere ed arroventare i rami forti dell'esecutivo.
Per questo e non per amore di polemica, ci concediamo una serie di
considerazioni: non è certo nei momenti di difficoltà che si può
evocare il risparmio. Chiedere uno sforzo alla Cosa Pubblica è
necessario dal momento che si tratta di cifre assai forti che non
invoglierebbero nessun imprenditore privato, anche perchè i ritorni in
forma di denari sarebbero troppo lontani. Mentre l'aumento della
capacità occupazionale ed il grado di raffinatezza raggiunta, diventa
per tutti un tesoro di valore inestimabile. Risparmio o investimenti
dovrebbero essere fatti dallo Stato, questo è scontato. Ma quello che
ci appare oggi, è uno Stato cicala che vuole risparmiare, piuttosto che
uno Stato formica investitore. Pensare alla grande, così come il
governo aveva promesso e non ritirarsi alla prima avvisaglia di crisi è
il messaggio che si aspettano non solo i lavoratori, ma tutti i singoli
contribuenti. Quanto all'aereo europeo, merita ricordare che la macchina
era stata concepita molti anni fa, sotto la sigla di FLA (Future Large
Aircraft) proprio in virtù delle capacità sistemiche di un'industria
dai cui capannoni erano usciti grandi progetti. Non parliamo tanto di
Francia o di Germania, ma di un paese più a sud, con una forma che
ricorda uno stivale da cavallerizzi!
Al di là dunque delle valenze militari, merita che sia esaltata
l'importanza industriale. La sua strategia consiste nell'entrare in un
grande progetto europeo, figlio di un raggruppamento che ha ormai radici
possenti e far parte di esso. La scelta in tal senso deve essere
sottolineata molto bene e consente anche di speculare attraverso il
cristallo di pareti alte come le montagne che ci separano dal resto
d'Europa. Ci si gioca l'opportunità di allargare i perimetri delle
alleanze di altri conglomerati industriali di forte strategia, sia nel
campo dello spazio che della difesa. Si tratta di intenti che devono
essere soddisfatti. E di promesse che devono essere mantenute, a meno di
non perdere ogni forma di credibilità non solo in ambito nazionale, ma
di tutta quell'Europa che si sente autorizzata a passare al setaccio
ogni azione di governo.
Quando anche il sindacato si è fatto avanti per esprimere il suo
giudizio, l'idea è stata assai lineare: Giovanni Contento, segretario
nazionale della Uilm, ha dichiarato la sua ferma convinzione al merito
della preintesa con i partner europei. Affermazioni per altro ribadite
con determinazione da Fim, Fiom e Uilm anche alle Commissioni Industria
del Senato e Attività Produttive della Camera. "Essere rimasti
fuori da Airbus -ha aggiunto Contento- è stato un grosso danno per le
industrie italiane, che poi hanno finito per lavorare prevalentemente
per le commesse americane".
Un errore dunque che non si può ripetere.
Ci concediamo anche una considerazione più operativa. Il posizionamento
di mercato dell'A-400M è lontano dal C27 (belli i tempi in cui si
chiamava G 222!), quindi non dovrebbero essere paventate sovrapposizioni
di prodotto con un aereo di marca nazionale. Il suo mercato è più
vicino al Lockheed C130 Hercules (una pagina opaca della storia italiana
che ha contribuito fortemente alla destabilizzazione del Paese negli
anni in cui regnava il terrorismo) ma per qualità di carico si avvicina
al C-17 che McDonnell Douglas ha derivato dal Globemaster nel 1992,
aereo assai costoso, con i suoi 300 milioni di US $ richiesti per
singolo velivolo.
Dunque, l'acquisizione dell'A-400M potrebbe essere per l'Italia una
buona opportunità per la ricaduta industriale e un sostegno allo
spessore tecnologico delle direzioni tecniche presso cui sarebbero
progettati i componenti. E' importante non trascurare questo passaggio,
specie nel momento in cui l'associazione di categoria delle industria
aerospaziali grida l'allarme di un'interruzione della crescita nel
comparto, già travagliato da anni di crisi e di abbattimento
occupazionale. Veramente il governo ha voglia di veder ripetersi la
crisi che dal 1993 ha visto quasi dimezzarsi il personale occupato nelle
fabbriche di aerei? Speriamo proprio di no. Dunque val la pena mettersi
a tavolino, comprendere quali sono le necessità del Paese, utilizzando
anche degli strumenti legislativi esistenti, che già nel passato hanno
consentito di mantenere ed accrescere il valore tecnologico di un
comparto produttivo così avanzato. Sono molte le nazioni che hanno già
intrapreso questa strada, a cominciare dagli Stati Uniti, Svizzera,
Francia. Ma l'elenco è più lungo e contiene anche paesi, come il
Brasile, che non si credono sulla prima linea industriale.
Per l'Italia poi si tratterebbe di un ingresso concreto nell'industria
aeronautica europea e l'apertura ad altre alleanze, giudicate già da
tempo vitali ma non ancora realizzate.
Anche sul piano della continuità dei prodotti, val la pena ricordare
che Alitalia dispone di numerosi Airbus nella sua flotta e pure la
nostra Aeronautica Militare dispone di A-319. Aerei destinati per il
trasporto VIP. Probabilmente le poltrone su cui siedono quelle persone
che prima o poi saranno chiamate a decidere, sono diventate veramente
scomode!
Enrico Ferrone
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