UNIONE ITALIANA LAVORATORI METALMECCANICI

Corso Trieste, 36 - 00198 Roma - Tel. 06.852.622.01 - 06.852.622.02
Fax 06.852.622.03 - E-mail uilm@uil.it

 

 
Periodico nazionale di informazione della Uilm
ANNO VI - NUMERO 8 Novembre 2001

Lo spartiacque del cielo

In un momento di grande tensione internazionale, nel quale l'aeroplano è stato protagonista per niente volontario ma scomodo, dobbiamo parlare di un aereo militare che sta diventando il pomo della discordia sia di una classe politica, che dell'intera Unione Europea. E' l'A-400M di Airbus, un programma industriale europeo nel quale l'Italia sta provando ad affacciarsi da lungo tempo, non tanto e non solo per opportunità di mercato, ma per sua competenza e capacità di progetto.
Da sempre avremmo voluto che l'apparato di Stato, specie quello nostrano, avesse dedicato maggiore attenzione al mondo aeronautico, certo non nell'equazione assurda che associa continuamente la maestosità di un aereo intercontinentale con le immagini delle Torri Gemelle che crollano. Dopo gli attentati di New York e Washington, è vero che il mondo sta vivendo una nuova vita, ma è un grosso errore paventare che siano stati degli aerei di linea ad esserne i responsabili. Sappiamo bene che l'aereo ha cambiato lo stile di vita dell'umanità già da poco meno di un secolo fa; le mani sapienti di due fratelli, fabbricanti di biciclette, fecero alzare per qualche metro un trabiccolo di legno da una ventosa spiaggia della Carolina del Nord, un piccolo salto che fu un balzo in avanti enorme per l'intera umanità. Questo ci piace ricordare, come mondo che cambia e siamo persuasi che non sarà un manipolo di terroristi a chiudere questo processo.
In Italia -si diceva- non si parla mai molto di aerei. Oltre a qualche aspetto rocambolesco e la voglia che hanno diverse emittenti televisive di trasmettere film pieni di eventi nefasti, specie nei periodi estivi quando è maggiore l'affluenza al trasporto, deve accadere proprio qualcosa di particolarmente grave perchè le copertine dei giornali o le televisioni si ricoprano di ali. Una questione molto amara, se si pensa che la presenza di un'industria aeronautica forte, per una nazione è l'indice del suo progresso tecnologico. Nella sola Italia l'area costruttiva impiega 50.000 persone e ogni anno fattura 14.000 miliardi di lire, di cui 8.000 miliardi per esportazione. E per i servizi, una compagnia aerea di grosse dimensioni assicura i collegamenti anche con le parti più remote del mondo, incrementando il commercio e le relazioni umane. Poi si potrebbe anche aggiungere che una forza aerea efficace, rappresenta una sostanziale barriera ad invasioni del proprio territorio e la relativa invulnerabilità, ma questo porterebbe qualche lettore benpensante a storcere il naso ed accusarci di simpatia per l'arte bellica, cosa che non è per niente esatta.
Parliamo di un aereo militare: un aereo da trasporto che dovrebbe andare a sostituire ovvero rimpiazzare il segmento di carico delle aeronautiche militari di mezz'Europa. Il condizionale è d'obbligo, dal momento che in caso di mancata decisione da parte di clienti di spicco -tra questi l'Italia- il programma potrebbe saltare. Gli investimenti sono tali da non potersi permettere smagliature nell'affare.
Senza voler ripercorrere quella che è stata l'affascinante storia di Airbus Industrie, cemento e parte integrante della costruzione della Casa Europea e nemmeno a parlarne, delle ripercussioni che il mancato ingresso del nostro Paese nel Consorzio ha avuto sull'industria nazionale, val la pena ricordare che l'Italia annunciò la sua partecipazione al programma A-400M del valore di 18 miliardi di dollari già a luglio del 2000. La cosa non era sicuramente campata in aria, dal momento che l'industria italiana ha maturato fin dal dopo guerra un'esperienza molto forte nelle costruzioni di aerei da trasporto militare: una capacità consolidata addirittura ai primi anni Sessanta, nei quali si pianificava la realizzazione del G 222 da parte di Fiat come capocommessa ma che visse, sia pur per quote, la partecipazione di tutte le industrie nazionali del settore. Un impegno di spessore assai elevato, per un aereo che ancora oggi è sul mercato e che ha mostrato un vasto interesse commerciale per gli Stati Uniti, che del prodotto ne sono patria. Che l'aereo non fosse gradito a certi comparti governativi lo si era cominciato a capire già dalla fine dell'estate e certo non sarà stato l'11 settembre ad aver fatto cambiare idea. Un aereo militare rappresenta sempre una spesa onerosa e specie i nuovi programmi destano preoccupazioni per nuovi studi, nuovi rischi, nuovi investimenti. Ammettiamo che siano stati questi i punti che abbiano fatto discutere, riflettere ed arroventare i rami forti dell'esecutivo.
Per questo e non per amore di polemica, ci concediamo una serie di considerazioni: non è certo nei momenti di difficoltà che si può evocare il risparmio. Chiedere uno sforzo alla Cosa Pubblica è necessario dal momento che si tratta di cifre assai forti che non invoglierebbero nessun imprenditore privato, anche perchè i ritorni in forma di denari sarebbero troppo lontani. Mentre l'aumento della capacità occupazionale ed il grado di raffinatezza raggiunta, diventa per tutti un tesoro di valore inestimabile. Risparmio o investimenti dovrebbero essere fatti dallo Stato, questo è scontato. Ma quello che ci appare oggi, è uno Stato cicala che vuole risparmiare, piuttosto che uno Stato formica investitore. Pensare alla grande, così come il governo aveva promesso e non ritirarsi alla prima avvisaglia di crisi è il messaggio che si aspettano non solo i lavoratori, ma tutti i singoli contribuenti. Quanto all'aereo europeo, merita ricordare che la macchina era stata concepita molti anni fa, sotto la sigla di FLA (Future Large Aircraft) proprio in virtù delle capacità sistemiche di un'industria dai cui capannoni erano usciti grandi progetti. Non parliamo tanto di Francia o di Germania, ma di un paese più a sud, con una forma che ricorda uno stivale da cavallerizzi!
Al di là dunque delle valenze militari, merita che sia esaltata l'importanza industriale. La sua strategia consiste nell'entrare in un grande progetto europeo, figlio di un raggruppamento che ha ormai radici possenti e far parte di esso. La scelta in tal senso deve essere sottolineata molto bene e consente anche di speculare attraverso il cristallo di pareti alte come le montagne che ci separano dal resto d'Europa. Ci si gioca l'opportunità di allargare i perimetri delle alleanze di altri conglomerati industriali di forte strategia, sia nel campo dello spazio che della difesa. Si tratta di intenti che devono essere soddisfatti. E di promesse che devono essere mantenute, a meno di non perdere ogni forma di credibilità non solo in ambito nazionale, ma di tutta quell'Europa che si sente autorizzata a passare al setaccio ogni azione di governo.
Quando anche il sindacato si è fatto avanti per esprimere il suo giudizio, l'idea è stata assai lineare: Giovanni Contento, segretario nazionale della Uilm, ha dichiarato la sua ferma convinzione al merito della preintesa con i partner europei. Affermazioni per altro ribadite con determinazione da Fim, Fiom e Uilm anche alle Commissioni Industria del Senato e Attività Produttive della Camera. "Essere rimasti fuori da Airbus -ha aggiunto Contento- è stato un grosso danno per le industrie italiane, che poi hanno finito per lavorare prevalentemente per le commesse americane".
Un errore dunque che non si può ripetere.
Ci concediamo anche una considerazione più operativa. Il posizionamento di mercato dell'A-400M è lontano dal C27 (belli i tempi in cui si chiamava G 222!), quindi non dovrebbero essere paventate sovrapposizioni di prodotto con un aereo di marca nazionale. Il suo mercato è più vicino al Lockheed C130 Hercules (una pagina opaca della storia italiana che ha contribuito fortemente alla destabilizzazione del Paese negli anni in cui regnava il terrorismo) ma per qualità di carico si avvicina al C-17 che McDonnell Douglas ha derivato dal Globemaster nel 1992, aereo assai costoso, con i suoi 300 milioni di US $ richiesti per singolo velivolo.
Dunque, l'acquisizione dell'A-400M potrebbe essere per l'Italia una buona opportunità per la ricaduta industriale e un sostegno allo spessore tecnologico delle direzioni tecniche presso cui sarebbero progettati i componenti. E' importante non trascurare questo passaggio, specie nel momento in cui l'associazione di categoria delle industria aerospaziali grida l'allarme di un'interruzione della crescita nel comparto, già travagliato da anni di crisi e di abbattimento occupazionale. Veramente il governo ha voglia di veder ripetersi la crisi che dal 1993 ha visto quasi dimezzarsi il personale occupato nelle fabbriche di aerei? Speriamo proprio di no. Dunque val la pena mettersi a tavolino, comprendere quali sono le necessità del Paese, utilizzando anche degli strumenti legislativi esistenti, che già nel passato hanno consentito di mantenere ed accrescere il valore tecnologico di un comparto produttivo così avanzato. Sono molte le nazioni che hanno già intrapreso questa strada, a cominciare dagli Stati Uniti, Svizzera, Francia. Ma l'elenco è più lungo e contiene anche paesi, come il Brasile, che non si credono sulla prima linea industriale.
Per l'Italia poi si tratterebbe di un ingresso concreto nell'industria aeronautica europea e l'apertura ad altre alleanze, giudicate già da tempo vitali ma non ancora realizzate.
Anche sul piano della continuità dei prodotti, val la pena ricordare che Alitalia dispone di numerosi Airbus nella sua flotta e pure la nostra Aeronautica Militare dispone di A-319. Aerei destinati per il trasporto VIP. Probabilmente le poltrone su cui siedono quelle persone che prima o poi saranno chiamate a decidere, sono diventate veramente scomode!
Enrico Ferrone

torna all'homepage