UNIONE ITALIANA LAVORATORI METALMECCANICI

Corso Trieste, 36 - 00198 Roma - Tel. 06.852.622.01 - 06.852.622.02
Fax 06.852.622.03 - E-mail uilm@uil.it

 

 
Periodico nazionale di informazione della Uilm
ANNO VII - n° 2  marzo 2002

Il Sindacato nella comunità del lavoro che cambia

MESSIA
Buongiorno. Ringraziamo i nostri ospiti che sono l'onorevole Maurizio Sacconi, sottosegratario al Welfare; l'onorevole Pierluigi Bersani, della segreteria Ds; il professor Tito Boeri dell'università di Milano e Antonino Regazzi, segretario generale della UILM. La tavola rotonda che abbiamo voluto organizzare all'interno del congresso della UILM è proprio relativa ai temi che in queste settimane, ma io direi in questi anni, hanno riguardato l'intera comunità del lavoro. Fin dagli anni '90, forse a partire già dagli anni '80, i metalmeccanici sono stati una parte importante di questa comunità. Il titolo di questa tavola rotonda è appunto "La comunità del lavoro". Mai come in questo momento il tema del lavoro è divenuto centrale nella riflessione del nostro Paese e dell'intera Unione europea; sosteniamo da tempo che la globalizzazione è tra noi, è nelle cose che indossiamo, è nelle cose che mangiamo, spesso è negli strumenti, più o meno tecnologici, che utilizziamo. C'è, però, dentro questa comunità del lavoro, un problema che rimane irrisolto: è quello delle identità di questo mondo del lavoro.
Il mondo del lavoro non è più così monolitico: oggi rappresenta pluralità ed interessi diversi che convivono nello stesso luogo di lavoro. I grandi insediamenti produttivi, i grandi agglomerati degli anni '70, ma se vogliamo da quando iniziò la rivoluzione industriale, con lo spostamento dalla comunità rurale al- l'insediamento nella comunità urbana, il lavoro è andato sempre più trasformandosi. Questa diversità ha modificato stili di vita, metodi di comportamento; le stesse appartenenze sociali, politiche e sindacali sono divenute plurali. Vorrei partire proprio dall'onorevole Maurizio Sacconi. In questi ultimi mesi, per quanto riguarda il mondo delle relazioni, è sembrata essere messa in discussione la politica della concertazione. Pare affermarsi un approccio quasi ideologico a questo tema, invece, di un normale confronto tra le parti?

SACCONI
Mi sembra che la domanda si riferisca in primo luogo al motivo per cui, nel presentare il Libro bianco, il ministro Maroni abbia esplicitamente criticato lo strumento della concertazione, proponendo di sostituire questo termine con quello (che troviamo nelle sedi europee o internazionali) di dialogo sociale, normalmente impiegato per descrivere il confronto tra le parti e tra queste e le istituzioni.
Al di là del nominalismo, Maroni esplicitò chiaramente, fin dal primo momento, di volersi riferire ad una stagione poco felice della concertazione. Potremmo farla coincidere con il patto di Natale del 1998 quando le parti sociali e il governo, dopo una lunga discussione e dopo avere anche tentato di rimettere in discussione la seconda parte degli accordi del 1993 (quella cioè relativa al modello contrattuale), quasi giunti a un possibile accordo, in realtà non lo trovarono, perché vi fu il veto di una organizzazione. Così l'accordo sul nuovo modello contrattuale fu mancato e fu riproposto lo schema centralizzato del 1993.
Più in generale il patto di Natale, con il senno di poi, non è stato foriero di risultati concreti e questi non si sono avuti perché un soggetto ha opposto una serie di 'niet', di "non posso", di "non voglio", che hanno tolto efficacia all'intesa.
Già allora si avvertiva il grande bisogno di risultati concreti per un mercato del lavoro come quello italiano, che per quattro volte consecutive l'Unione Europea ha giudicato come il peggiore d'Europa sulla base, innanzi tutto, dell'inesorabile indicatore costituito dal basso tasso di partecipazione, dal basso tasso di occupazione, dal basso tasso di inclusione sociale.
Cosa diversa è, invece, il tema affrontato nel Libro bianco, dove si sviluppa di più la costruzione di un moderno sistema di relazioni industriali che dovrebbe muoversi dalla consapevolezza che l'utilità dell'impianto centralistico non è venuta meno; anzi, che l'utilità della politica dei redditi e della prima parte degli accordi del 1993 è più che mai viva e vegeta.
Questa logica si ritrova anche nelle affermazioni degli accordi quadro in materia di pubblico impiego o nel recente contratto dei chimici.
Occorre piuttosto rimettere in discussione i modi con cui perseguire la stessa politica dei redditi e organizzare una efficiente distribuzione della ricchezza. Come è noto il Libro bianco compie una scelta molto precisa in favore della devoluzione contrattuale, cioè dello spostamento del baricentro verso il territorio e verso l'azienda, in modo che una quota consistente della retribuzione sia quanto più possibile ancorata a risultati d'impresa o a indici di produttività.
Il Libro bianco chiarisce che, proprio nel momento in cui il lavoratore è più coinvolto nel rischio d'impresa, vada considerato prioritario anche il criterio della partecipazione: non come orientamento astratto e ideologico, ma come tassello di un nuovo modello di relazioni industriali, fortemente cooperativo, in cui devoluzione, assetto contrattuale e scelte partecipative vadano di pari passo.
Non a caso, il governo ha dato finalmente attuazione alla direttiva europea in materia di comitati aziendali europei. La direttiva ha introdotto per la prima volta nell'ordinamento, addirittura sanzionandoli, i diritti di informazione e consultazione. Le parti sociali sono state poi convocate per avviare un avviso comune sul recepimento della direttiva in materia di statuto della società europea e sulla nuova direttiva approvata dalla Commissione Europea in materia di estensione generalizzata dei diritti di informazione e consultazione dei lavoratori.
Se poi guardiamo la vicenda specifica della legge delega, parliamoci chiaro. Tranne che sul punto oggetto di maggiori controversie, su tutto il resto della legge delega l'accordo con CISL e UIL c'era. Credo di non essere smentibile e non ho sentito dissensi provenienti da queste due organizzazioni su tutto il resto della legge delega in materia di lavoro.
Il punto relativo all'articolo 18 fu un'autonoma iniziativa del governo di fronte a due tesi contrapposte, l'una di chi voleva subito la modifica strutturale dell'articolo 18 (Confindustria); l'altra di chi diceva no, con accenti diversi, come il sindacato.
E c'era chi diceva no "nè ora, nè mai", e chi, invece, sosteneva la necessità di aspettare in attesa di un mercato del lavoro più organizzato, dotato di adeguati ammortizzatori sociali.
L'introduzione di un cauto esperimento fu una iniziativa del governo presa tra due posizioni antagoniste, che in quel momento non apparivano conciliabili. Come potete immaginare, nessuno di noi desiderava il conflitto, anche se rimane ferma intenzione del governo produrre i risultati sperati.
L'Unione Europea, per la quarta volta, come ricordavo prima ha giudicato l'Italia come il paese con il peggiore mercato del lavoro. Questa notizia certificava quanto avevamo ereditato dal precedente governo; la prossima volta saremo noi ad essere giudicati e vogliamo esserlo, soprattutto, secondo quell'inesorabile benchmarking che è l'innalzamento del tasso di occupazione: quello generale, quello delle donne, quello degli over 55 e quello dei giovani. Soprattutto nel mezzogiorno.

MESSIA
Apprezziamo la franchezza dell'onorevole Sacconi. Passerei la parola all'onorevole Bersani, già autorevole ministro dell'Industria. Proprio lui, tra le parti, è stato tra i soggetti che nel passato modello di relazioni ha giocato un ruolo significativo. Il problema, secondo me, non sta tanto dentro la definizione di una formula quanto nel fatto che è ipotizzabile un funzionamento migliore delle regole là dove le parti insieme ristrutturano e realizzano delle regole per affrontare la sfida della modernità.

BERSANI
L'idea più precisa che ho del rapporto fra le parti sta nel saluto che voglio fare a tutti i presenti, ai delegati ed in particolare a quelli con i quali, facendo appunto il ministro dell'Industria, ho passato qualche notte, vedendo come risolvere insieme i casi industriali critici. E ce n'erano a bizzeffe tra il '96 ed il '97. Lo dico, perché se non c'è una passione per la base produttiva, per l'evoluzione dell'economia reale di un paese; se non c'è interesse per i meccanismi di concertazione, noi non riusciamo ad individuare la strada da percorrere. Bisogna, intanto, partire dall'analisi della realtà. Abbiamo vissuto degli anni nei quali, dopo il risanamento,si è registrata una ripresa del PIL e un avvio dell'occupazione. Dobbiamo partire da questo dato reale: abbiamo avuto un cavallo nel periodo dal 2000 al 2001 che correva di più della media riscontrata negli altri paesi europei. Questi sono i dati del PIL e dello stato occupazionale di allora. E' curioso che si dimentichi che mentre abbiamo un governo che promette una media nei prossimi 5 anni di 300.000 occupati in più all'anno, il nostro governo nel 2001 ne ha avuti 438.000 in più. Dobbiamo andare avanti e l'obiettivo è quello di aumentare la base produttiva e occupazionale di questo paese. Dobbiamo premere su diverse tastiere. Guardiamo i servizi. In questo settore, come numero di occupati rispetto agli altri paesi europei, siamo indietro. Il che ci porta a sottolineare quello che sosteneva l'OCSE l'altro giorno, nel suo ultimo rapporto: attenzione a flessibilizzare il mercato del lavoro senza flessibilizzare il mercato dei prodotti; quindi, senza allargare la base produttiva con operazioni che non sono solo quelle del mercato del lavoro, si possono registrare dei contraccolpi sul piano occupazionale. Ad esempio, non si può drammatizzare un problema come quello della riforma del mercato del lavoro senza spendere una parola sulla riforma delle professioni. Inoltre, per fare operazioni di crescita e di sviluppo bisogna mettere sul tavolo anche l'analisi degli andamenti dei processi reali. Osserviamo, allora, come si sta muovendo il capitalismo italiano. La grande impresa in Italia sta ripiegando sui mercati interni, esce dai grandi scenari di concorrenza internazionale per confluire verso sistemi tariffati a forte base interna. Alla piccola-media impresa le viene schiacciato l'occhiolino come segnale che avrà mani più libere, costi ridotti, legislazione di favore. Tutto questo io lo chiamo ripiegamento. Si tratta di un attacco al concetto stesso di valore della base industriale. Chi ascolta, sa cosa intendo, perchè qui parlo a gente che conosce Genova, Porto Marghera, Taranto. I problemi vanno affrontati concretamente, ma viviamo un'epoca in cui sembra che viviamo di Rai-Tv, che mangiamo informazione. Il Patto di Natale potrà non essere stato efficace, ma allora inventiamoci quello di Pasqua. Il punto è che dobbiamo ridiscutere anche di sviluppo delle forse produttive, dei meccanismi di liberalizzazione, di sostegno al trasferimento di tecnologia. Nell'ultima finanziaria, Sacconi, non si è trovata una lira per la ricerca, ma le risorse sono saltate fuori per finanziare la formazione che già le imprese facevano, così come prevede la Legge Tremonti. Anche questa situazione è motivo di disagio.
Mi pare che il passaggio dalla concertazione al dialogo sia stato in realtà un passaggio dalla concertazione al conflitto. Ma ci sono altre questioni aperte a cui bisogno porre rimedio come quelle del lavoro, delle pensioni, della scuola. E non si può affrontarle seguendo l'istinto della scomposizione. Ho ascoltato Sacconi. Capisco i diversi accenti che ha posto sui diversi sindacati, ma a mio parere uno dei compiti del governo è considerarli tutti figli propri, siano essi croce, o delizi. In questo contesto non possono esserci dei figli e dei figliastri. Caro Sacconi il punto è che sia tu, che i tuoi colleghi di governo, avete in testa il 1984. Sono passati 16 anni da allora e quel 1984 nacque in modo contraddittorio e lacerante dentro il mondo del lavoro. La storia di quell'anno non nacque con Berlusconi e D'Amato contro i lavoratori, ma si sviluppò all'interno di una riflessione non compiuta, ma vera del mondo del lavoro. Eravamo tutti assieme a discutere, magari con idee anche diverse. Le misure che il governo pone in essere, invece, vanno a suddividere e frantumare il corpo sociale. Non può funzionare.
Nel caso delle pensioni, ad esempio, una fetta della popolazione giovanile viene proiettata oltre Atlantico, contestualizzata in un meccanismo quasi americano a livello previdenziale. Il "doppio pilastro" che vale solo per un pezzo della società.
Anche l'applicazione delle modifiche all'articolo 18, che passano attraverso una sperimentazione sui contratti a termine, è una scelta che divide.
Il libro bianco contiene bellissime cose, però conserva una logica di eccessiva frantumazione. Se riformare vuol dire ricostruire su modelli comunque universali, allora scegliamo dei meccanismi che unificano e non dei meccanismi che separano.

MESSIA
Grazie onorevole Bersani. Io credo che il nostro paese ha bisogno di pacificazione. Abbiamo la tendenza ad affrontare quel che ci accade, in alcuni momenti, più da tifosi che da osservatori. Questi problemi toccano in ogni senso la pelle e la vita delle persone. Vorrei chiedere un'opinione al professor Boeri. E' uscito proprio in questi giorni un suo librosul sindacato in Europa che ha anche i contributi di altri autori della fondazione De Benedetti.
Il nostro paese ha conosciuto una tradizione di cultura d'impresa. Basti citare Adriano Olivetti, il fondatore della comunità di Ivrea, dove non si realizzava solo la produzione di macchine da scrivere o registratori, ma anche la produzione di idee, di cultura, di socialità. Altre esperienze sono state realizzate: c'è stato un tentativo negli anni '90 del gruppo Zanussi, proseguito e che convive nel mondo in cui lavorano i metalmeccanici, così come l'esperienza nel gruppo Merloni. Questa fase altro non è stata che il passaggio successivo alla concertazione. Questa impostazione presentava un limite: era vista come una azione centralizzata, svolta a Roma. Il modello partecipativo si caratterizza, invece, nei luoghi di lavoro, negli stabilimenti. E' qui che si applicano i comportamenti e si rispettano le regole previste dal modello partecipativo.
Professor Boeri, sembra un po' latitante la riflessione dell'impresa rispetto alla partecipazione: è come se si saldasse un fronte trasversale sul principio dell'antagonismo che caratterizza sia una parte dei datori di lavoro, sia una parte del sindacato. Non le sembra che si voglia realizzare uno scontro per dividere vincitori e vinti; se è così, è funzionale un modello in cui ci deve essere per forza un perdente ed un vincente?

BOERI
Io vi ringrazio, innanzitutto, per avermi invitato. Mi è dispiaciuto non essere stato qui con voi nei giorni scorsi. Ho letto la relazione introduttiva e mi sono fatto raccontare i temi di cui avete parlato. Quindi, vorrei soprattutto misurarmi su questi temi riprendendo anche le sollecitazioni del moderatore a parlare anche dell'impresa e del suo ruolo. Mi sembra che ci siano stati tre temi che hanno ispirato le vostre riflessioni: il primo riguarda sui livelli della contrattazione; il secondo si riferisce al ruolo che la contrattazione deve avere nel nostro paese; il terzo tema, portato all'attualità più dirompente in questi giorni, è quello delle riforme del mercato del lavoro, in particolare dell'articolo 18. Sui li- velli di contrattazione mi sembra che la relazione introduttiva del vostro segretario abbia attribuito molta importanza al decentramento della contrattazione; al fatto di sviluppare e dare maggiore peso al secondo livello della contrattazione nel nostro paese, questo anche attraverso una rimodulazione della vigenza della contrattazione nazionale da due a tre anni; inoltre, c'è un'attenzione particolare verso la contrattazione a livello di impresa. Mi sembra un'opzione importante ed una scelta coraggiosa: vi sono moltissime ragioni per ritenere che, in effetti, ci sia bisogno nel nostro paese di maggior decentramento della contrattazione e di assegnare più peso alla contrattazione a livello di impresa. Si tratta di una scelta ancora più importante, più coraggiosa di quella proposta nell'ambito del Libro Bianco sul mercato del lavoro. Lì si parla di decentramento a livello regionale e sono abbastanza scettico sul fatto che si possa fare della contrattazione a livello regionale nel nostro paese. Anche alla luce dell'esperienza, non del tutto convincente, della Germania in quanto a contrattazione regionale. Trovo più giusto lavorare sulle sedi a livello di impresa nella contrattazione. Il decentramento della contrattazione può essere anche una strada per ritrovare maggiore unità nel sindacato, dopo le divisioni di questi giorni e, a questo proposito, vorrei anche dire che bisognerebbe stare molto attenti a dividere il sindacato nelle trattative. Credo che l'unità sindacale sia un bene non solo per il sindacato, ma anche per il funzionamento e l'efficienza del nostro mercato del lavoro. Un sindacato che si divide crea molta più conflittualità; origina, infatti, delle rivendicazioni salariali che sono meno controllate, quindi, a livello decentrato.
Passiamo al secondo tema, quello del ruolo della contrattazione. La discussione di questi giorni si concentra su formule vaghe e poco sui contenuti. Mi pare che ci sia la necessità di ridefinire il ruolo della contrattazione nel nostro paese. Nella passata legislatura la contrattazione ha avuto un ruolo importante nel governare il cambiamento. Alla contrattazione veniva affidato il ruolo di decidere che tipo di deroghe avere su certe normative. Per esempio, nell'ambito del pacchetto Treu erano introdotte delle riforme nel mercato del lavoro e la contrattazione doveva decidere a chi si dovevano applicare queste deroghe. Nelle iniziative normative di questo governo mi sembra che non ci sia ruolo alcuno per la contrattazione. Le viene negata qualsiasi funzione. Il recepimento della direttiva sui contratti a termine non concede nessun ruolo alla contrattazione. Anche nella deroga sul mercato del lavoro la contrattazione sparisce. Il tentativo in atto è quello di esautorare la contrattazione da qualsiasi ruolo e stabilire direttamente una iniziativa legislativa del governo. L'Esecutivo interviene al posto della contrattazione, fissando una serie di normative. Mi pare si tratti di una scelta abbastanza rischiosa, perché può avere degli effetti controproducenti. Credo che, invece, la contrattazione debba estendersi al di la del salario; che non debba essere solo la contrattazione sul salario, ma debba estendersi sull'insieme delle norme che regolano il funzionamento del mercato del lavoro. Ecco, quello che si sta facendo è diverso: c'è proprio un tentativo di introdurre delle norme nuove e la logica che sta dietro alle stesse è quella di introdurre progressivamente nuove figure contrattuali. Si tratta di quelle che dovrebbero coprire un'area che va dal lavoro subordinato al lavoro autonomo. Nella delega sul mercato del lavoro non c'è solo l'articolo 18, ma c'è, per esempio, lo staff-leasing, c'è la certificazione di contratti individuali, c'è l'idea che si debbano creare tante figure contrattuali soprattutto in direzione del lavoro autonomo. Tuttavia non è vero che c'è una tendenza ovunque all'espansione del lavoro autonomo: non esiste a livello europeo e non sono le nuove tecnologie che necessariamente portano ad un'espansione del lavoro autonomo. L'espansione che abbiamo conosciuto del lavoro autonomo nel nostro paese è una risposta al fatto che c'erano delle rigidità eccessive sul lavoro alle dipendenze. Quindi bisogna intervenire sul lavoro alle dipendenze, affidare un ruolo alla contrattazione nelle riforme delle norme che regolano il lavoro subordinato, anziché sforzarsi di definire tante diverse tipologie contrattuali; anche perché questo atteggiamento crea una segmentazione del mercato del lavoro. Abbiamo già segmenti separati; abbiamo già il problema dell'assorbimento, per esempio, dei lavoratori temporanei che sono in contratti a tempo determinato e che difficilmente riescono poi a trasformare, specie al sud, i loro contratti in contratti permanenti. Quindi continuare a costruire nuove tipologie contrattuali mi sembra sbagliato. Meglio assegnare più ruolo alla contrattazione e dare più attenzione al lavoro subordinato, anziché mettere tutto sul piano dell'ingegneria contrattuale.
Passiamo al problema della modifica dell'articolo 18. L'errore da parte del governo nel porre il problema dell'articolo 18 risiede nel fatto che nel nostro paese mancano delle tutele vere, delle tutele efficaci contro il rischio di disoccupazione, che abbiano una copertura ampia. Non si possono dare queste tutele soltanto per via giuridica; non sono i giuristi che possono garantire per via normativa queste tutele. E' solo costituendo dei sistemi assicurativi come quelli che esistono nella stragrande maggioranza dei paesi dell'OCSE che si realizzano queste tutele. Occorrono dei sussidi di disoccupazione che coprano non soltanto i lavoratori delle grandi imprese, ma anche i lavoratori delle piccole imprese, i lavoratori che hanno brevi anzianità aziendali. Bisogna, al tempo stesso, costruire una amministrazione delle politiche del lavoro che sia effettivamente efficace e che aiuti nel reintegro e nella ricerca di un posto di lavoro. Inserire all'ultimo secondo il tema dell'articolo 18 nella delega sul mercato del lavoro, senza porsi prima il problema di istituire queste tutele vere, è stato un grave errore. Nel momento stesso in cui si va a rivedere l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, bisogna creare un sistema ampio di ammortizzatori sociali e investire in un servizio pubblico dell'impiego che aiuti i lavoratori a reintegrarsi nel posto del lavoro. Bisognerebbe ora riaprire una trattativa a tutto campo che vada dagli ammortizzatori sociali alle pensioni, alle riforme dell'articolo 18, perché sono temi tra loro strettamente legati. C'è un'ultima cosa che ritengo utile esporre: in questi giorni si parla molto di rigidità rispetto ai licenziamenti, ma ci sono altre forme di rigidità che sono importanti, che vengono spesso taciute e che dal punto di vista delle imprese sono ancora più perniciose: mi riferisco alle rigidità che si cerca di porre in essere nella normativa e nelle leggi sull'immigrazione. Esiste un tentativo in atto di edificare delle barriere molto forti all'immigrazione. Credo che per molti datori di lavoro il problema più serio non è tanto legato alla presenza di normative come quelle dell'articolo 18, quanto all'impossibilità di reclutare lavoratori in virtù delle barriere poste all'immigrazione regolare. Le norme proposte pongono degli ostacoli alla mobilità ed ai datori di lavoro nel reclutamento di manodopera straniera. Quando si apre il problema della mobilità e della flessibilità del mercato del lavoro, a mio giudizio, dovremmo parlare anche di politiche dell'immigrazione.

MESSIA
Dottor Regazzi, tralasciando per un attimo che dovrà andare in votazione per essere riconfermato segretario generale dei metalmeccanici, qual è il ruolo per un'organizzazione sindacale come i metalmeccanici della UILM rispetto ai problemi che ha dovuto affrontare?

REGAZZI
Io vorrei partire dall'accordo di Natale e fare una considerazione su questo per capire come sta evolvendo la situazione. Per noi l'accordo di Natale era l'ap- puntamento in cui la concertazione non aveva più la capacità di proporre l'iniziativa alle parti. Il punto, però onorevole Sacconi, non è solamente che una parte del sindacato ha rifiutato, o si sia in qualche modo opposta, a sviluppare ulteriormente la concertazione. A noi risulta, in maniera molto più marcata che la Confindustria, ancora più dell'organizzazione sindacale a cui tu ti riferivi, ha posto le condizioni perché il meccanismo dell'accordo del 1993 dovesse terminare. Noi, che stavamo rinnovando il contratto nazionale di lavoro e avevamo già fatto qualche primo incontro, il 10 di gennaio del '98, la prima cosa che ci siamo sentiti dire da Federmeccanica era che l'accordo del 23 luglio presentava regole sbagliate e male applicate. Questa affermazione è rimasta sul tavolo della trattativa come un macigno. In quella circostanza ci siamo resi conto che il meccanismo si stava bloccando. Quel sistema di regole che, come ricordava prima Messia, in alcune aziende aveva prodotti risultati apprezzabili, stava venendo meno e da quel momento abbiamo assistito ad un continuo venire della forza propulsiva dell'accordo del 23 luglio. La domanda che ora mi poni è come possiamo governare questo periodo. Se non recuperiamo dalla politica di concertazione il momento della partecipazione, vivremo degli attriti molto forti con le nostre controparti. Questa eventualità è quasi inevitabile. Questa fase di grande trasformazione, con tutti i problemi che venivano qui ricordati (da una frantumazione del lavoro alle difficoltà che incontrano i giovani le donne, gli immigrati per entrare nel mercato del lavoro) corre il pericolo di determinare uno scontro tra le parti. Occorre recuperare i comportamenti dediti alla partecipazione ed alla concertazione. Siamo certamente preoccupati di come viene esposto il dialogo tra le parti nel libro bianco. Qui viene messa seriamente in discussione la possibilità di poter dialogare sui problemi. Come ricordava il moderatore, si rischia di applicare la regola del vincitore rispetto a quella del vinto. Occorre, invece l'applicazione di un sistema di regole per fare in modo che dalla precarietà si passi alla fase delle opportunità. Intendo dire che dei diritti acquisiti possono essere migliorati: per esempio, facendo in modo che, tra la perdita di un posto di lavoro e la ricerca di un altro, un soggetto posssa essere coperto, sia pur a livello minimo, dal punto di vista previdenziale e dal punto di vista salariale. Queste sono le questioni che ci siamo posti. Non voglio riproporre l'ipotesi che debba essere il sindacato ad organizzare il mondo del lavoro, ma in qualche modo il sindacato deve avere voce in capitolo. Non so se dobbiamo parlare di enti bilaterali, se dobbiamo fare in modo che queste aziende abbiano un interlocutore nel sindacato e, quindi, dentro gli enti bilaterali. Noi faremo di tutto per non lasciarli nella precarietà. Ecco che in qualche modo bisogna far sì che ci sia un interlocutore capace di regolare questo rapporto. Quindi non chiediamo che ci sia un mercato del lavoro controllato dal sindacato. Ma in qualche modo dovremo intercettare i lavoratori atipici per evitare che questi lavoratori vivano momenti prolungati di precarietà.

MESSIA
Una domanda la porgo immediatamente all'onorevole Sacconi. Nel libro bianco si dedica una parte molto breve (quattro cartelle e mezzo) alla partecipazione: ma è possibile immaginare un mondo del lavoro senza le regole? Ciò costituirebbe un problema anche per le imprese. Nel nord-est, che lei conosce benissimo, il lavoratore qualificato è già imprenditore di se stesso. Questo è un bene per lui, perché ha delle capacità che vuole riconosciute. Però rappresenta anche un problema, perché quella cultura di impresa rischia di scomparire di fronte alle ristrutturazioni, al fatto di sentirsi sempre precari.

SACCONI
Vorrei dire, in primo luogo, a Bersani che non mi sarebbe difficile fare un ragionamento su come l'Italia sia stata governata negli anni novanta: sul più basso tasso di crescita europeo, che i governi succedutisi dopo il 1996 hanno prodotto; sui modi con i quali, poi, siamo entrati in Europa, rinunciando alle riforme strutturali, tagliando la spesa in conto capitale e la spesa per investimenti.
Per quanto riguarda il nuovo governo, mi rimetto ai fatti che riusciremo a produrre e quindi al giudizio delle cose più che a quello delle promesse. In questo momento, voglio stare al tema di oggi: una grande organizzazione sindacale si interroga e vive una stagione di grandi cambiamenti.
Io ricordo come fu accolto il Libro bianco di un nostro predecessore, un altro Libro bianco prodotto in materia di mercato del lavoro, quello di Gianni De Michelis nel 1984.
Anche quel Libro bianco fu molto discusso, seppur in un contesto diverso, senza la divisione indotta dal sistema maggioritario e la diffidenza del mondo sindacale. Ma anche allora il Libro bianco di De Michelis, che cercava di cogliere le novità, di interpretarle per governarle, fu accolto con molte contestazioni.
Fu quella una stagione nella quale un attore conservatore si oppose ai processi di modernizzazione. Sapete come andò a finire. Cito il 1984 solo per chiedere se in passaggi difficili ed importanti la scelta debba essere quella di rinunciare ad agire per avere il consenso di tutti, o se, invece, dopo aver cercato consenso, il governo debba procedere con chi ci sta.
Il Libro bianco cerca di interpretare questi grandi cambiamenti; sostiene quello che la commissione europea ribadisce continuamente; sottolinea quanto sia necessario implementare i pilastri della Strategia europea per l'occupazione, di cui voglio ricordare soprattutto quelli della occupabilità e della adattabilità.
Il Libro bianco non spezzetta il mercato del lavoro introducendo troppe tipologie contrattuali, ma invece guarda in faccia la realtà. Cerca di far emergere i rapporti di lavoro dal sommerso e dalla disintermediazione di parti sociali e soggetti collettivi, in modo tale che venendo governati, possano essere caratterizzarti da una opportuna coniugazione di flessibilità e di sicurezza.
E' un'operazione non facile, ma non si può dire che il Libro bianco sia una sorta di inno al lavoro autonomo solo perché in un punto (solamente!) quest'ultimo viene citato, accogliendo tra l'altro una richiesta sindacale: mi riferisco al giusto invito del sindacato a regolare di nuovo le collaborazioni coordinate e continuative per evitarne l'abuso. Quindi, restringendo il campo del loro possibile impiego; classificandole come lavoro autonomo in una dimensione molto più contenuta, affinché tutti gli altri lavori cadano nella fattispecie del lavoro subordinato. E garantendo nello stesso tempo e comunque che quella che rimane una collaborazione coordinata e continuativa possa godere di tutele che oggi non ci sono.
Questo è l'unico punto in cui nel Libro bianco si parla di lavoro autonomo: lo preciso a proposito delle mistificazioni che abbiamo sentito quando ci si dice che spezzettiamo il mercato del lavoro, mentre invece cerchiamo disperatamente di far emergere perfino il lavoro occasionale: anche per chi lavora una porzione di tempo limitatissima dovrà essere prevista una copertura assicurativa e previdenziale.
Come si può affermare che spezzettiamo il mercato del lavoro, quando cerchiamo di dare una disciplina e soprattutto una tutela al lavoratore del "lavoro a chiamata", una tipologia contrattuale la cui introduzione è stata in qualche modo già discussa, e anche votata, se non ricordo male, in una importante azienda metalmeccanica.
Non le inventiamo noi queste formule ed è utile che questa discussione prosegua e che trovi anche delle codifiche normative: bisogna tutelare quel lavoratore per le ore in cui si mette a disposizione dell'impresa.
Si è tentato perfino di spiegare che vorremmo esaltare il contratto individuale solo perché in un punto del Libro bianco diciamo che aumentano i rapporti individuali, che cresce la disintermediazione da parte del sindacato, ma anche delle organizzazioni degli imprenditori, rispetto a molti dei rapporti di lavoro.
Invitiamo invece a trovare delle formule di contrattazione collettiva che diano una specie di menù anche alla contrattazione individuale, ma con ciò imbrigliandola e, quindi, riportandola nell'alveo del controllo sociale. Altro che riduzione del ruolo degli attori collettivi!
Nel Libro bianco ritrovate ricorrente l'affermazione della sussidiarietà orizzontale: non faccia il legislatore ciò che può essere flessibilmente rimesso all'accordo tra le parti e relegato anche all'ambito del negozio privato, senza che sia neppure necessario riportarlo nell'alveo della legge.
E' bene che molte materie siano stabilite nel rapporto fra le parti.
Il Libro bianco esalta per esempio il ruolo degli enti bilaterali. Si propone per essi la funzione della certificazione, che è il modo di coniugare flessibilità con sicurezza, cioè di verificare se davvero il lavoratore abbia consapevolmente sottoscritto una tipologia contrattuale. La certificazione a questo serve, affinché di fronte all'ente bilaterale si verifichi la libera volontà di adesione.
Si rinviano all'ente bilaterale anche materie relative all'incontro tra domanda ed offerta. E la CGIL grida allo scandalo per questa ipotesi, che è invece sollecitata da CISL e UIL.
Noi la accogliamo volentieri, perché pensiamo che le parti sociali, molto più dei servizi pubblici all'impiego (inventati dal "bolscevismo bianco" di Fanfani e non dalle lotte dei lavoratori) possono governare il mercato del lavoro e offrire nel mercato le nuove protezioni necessarie, che consistono nella formazione continua e nell'incrocio tra formazione e ammortizzatori sociali.
Mentre tentiamo di andare avanti su questa strada, c'è qualcuno che intravede per gli enti bilaterali anche un ruolo di filtro, in modo che la chiamata nominativa possa garantire quel rapporto tra soggiorno e lavoro che è la sostanza di un flusso governato, e non subito, degli immigrati come fino ad ora è accaduto in Italia.
Tutto ciò non costituisce un'idea di mercato del lavoro privo di tutele, fondato sul rapporto individuale, che esclude gli attori collettivi. Al contrario è un'impostazione che esalta quegli attori collettivi che vogliano praticare un modello delle relazioni industriali cooperativo e che non annulla la dialettica.
Voi lo conoscete perché l'avete sempre praticato: è il modello opposto a quello antagonista che la CGIL sta rilanciando. Un sindacato antagonista che rifiuta tutti gli istituti del sindacato partecipativo - cooperativo, che guarda in cagnesco gli enti bilaterali, o, comunque, le funzioni che ho prima indicato per essi.
La CGIL ha poca disponibilità al negoziato. Il negoziatore è un soggetto curioso: se scorge un'ambiguità cerca di scioglierla, se intravede una zona grigia nel suo ragionamento cerca di darvi luce. Tutto questo non l'ho visto nella CGIL.
Abbiamo incontrato le parti sociali per la semplificazione dei procedimenti relativi agli adempimenti del collocamento pubblico. CISL e UIL ci hanno comunicato il loro interesse annunciando che avrebbero fatto pervenire le loro osservazioni. La CGIL, invece, ha parlato di istigazione a delinquere per la sola ipotesi di portare da 5 a 10 giorni la comunicazione all'INPS, cosa su cui siamo invece disponibilissimi a discutere.
Stiamo solo cercando di trovare il modo migliore per far funzionare il mercato, partendo da un negoziato aperto e non da un provvedimento chiuso. Allora, dobbiamo bloccare la semplificazione del collocamento? rincorriamo la CGIL che non vuole essere rincorsa?
O, se necessario, andiamo avanti, cercando il consenso di chi dialoga, di chi è disponibile ad una politica di innovazione. A quel punto, mi auguro, che l'intesa possa essere la più ampia possibile. Ma siamo anche pronti all'intesa con chi ci sta. Non lo voglio sottolineare come un momento lieto, ma può essere un momento necessario.

MESSIA
Credo che il nostro paese abbia proprio bisogno, con tutto il rispetto, non di tifosi, ma di osservatori, perché altrimenti si realizza una trasversalità dell'antagonismo. Se siamo parte di un sistema sociale, se siamo parte di un governo, se siamo parte di uno stato, dobbiamo abbandonare una visione ideologica. Così potremo avere dei risultati. Non è che i precedenti governi non li abbiano avuti, ma io credo che si debba andare un po' oltre. Certo l'intesa si fa con chi ci sta, ma è meglio che siamo a sottoscrivere quell'intesa, sia un gruppo ampio di soggetti.
Prego, onorevole Bersani.

BERSANI
Io sono l'ultimo che pensa che il sottosegretario Sacconi sia di primo pelo. Io credo che Berlusconi sia l'unico che ha letto Gramsci il quale sosteneva che il punto fondamentale nel controllo sociale è la costruzione del senso comune. Berlusconi è riuscito a determinare un senso comune di cui tutti quanti siamo vittime, forse anche in parte il sottosegretario Sacconi. Mi riferisco all'idea diffusa che in questi anni s'è tirato la cinghia e si è ammazzato il cavallo. Io invito il sottosegretario Sacconi e tutti quanti a farsi due conti. Dal '90 al '95, sul numero degli occupati, abbiamo riscontrato mediamente 2% in meno ogni anno; dal '96 al 2001, sul numero degli occupati, noi abbiamo avuto un più 1,5% medio ogni anno. Noi, come andamento del PIL, tirata la cinghia '96-'97 e prima parte '98, abbiamo inaugurato una tendenza che ci ha portato nel 2000-2001 ad essere sopra la media europea proprio nell'andamento del PIL, ottenendo nell'anno di grazia del 2000 un 2,9% in più che è il miglior risultato degli ultimi dieci anni. Io che non amo fare il vedovo del centro-sinistra, perché penso che abbiamo lasciato aperti anche tanti problemi, mi piacerebbe che partissimo dai dati di fatto, perché allora ragioneremmo in un'altra ottica.Vogliamo tenerla questa posizione sulla media europea in termini di ritmo occupazionale e di sviluppo del PIL? Questa è la sfida. Ora bisognerà determinare un clima favorevole. Sono disposto anche a dire che il patto di Natale ha sancito che una certa forma di concertazione che non va più.
Però c'è un punto di fondo: stiamo parlando di una corresponsabilità delle principali forze sociali attorno ai punti essenziali per la tenuta e sviluppo di un paese; se parliamo di questo, il governo ha la prima responsabilità nel costruire un clima favorevole. Siamo consapevoli che su questo terreno o si va avanti, o si rischia di andare indietro. Nella seconda ipotesi si mette a rischio una parte della concertazione, che è costituita dalla politica dei redditi. Se salta sono guai. Se, nei prossimi mesi arriviamo ad una spaccatura radicale, come pensiamo che possa reggere il confronto su aspetti essenziali di riforme come pensioni, mercato del lavoro scuola sanità e così via? E se salta la politica dei redditi che scenario può pararsi dinnanzi ai nostri occhi, per esempio, a proposito di eventuali aperture di questioni salariali, di questioni nord-sud, e alla luce di una ripresa economica che potrebbe esserci nella seconda metà dell'anno? Cosa direbbe a questo punto la Confindustria stessa?
Io dico, Sacconi, che sono il primo ad affermare che siamo arrivati a dei toni di discussione che sono francamente impensabili; io sono il primo a dire che ci sono a volte delle drammatizzazioni, ma sono anche preoccupato di sostenere che bisogna trovare una chiave. Allora il punto di fondo, lo diceva Boeri con cui sono perfettamente d'accordo, è capire qual è l'obiettivo del governo. E' suo interesse di tenere insieme il sindacato, o no? Allora, pur nelle difficoltà, bisogna trovare dei terreni sui quali sia possibile andare ad un rasserenamento di questa situazione. In questo contesto vorrei dire qualcosa anche a Confindustria, a cui rivolgo due rimproveri. Se le normative sul falso in bilancio rischiano di introdurre dei paradisi fiscali, dov'è il benchmarking in Europa? Dato che non possiamo più fare la svalutazione competitiva per le imprese, perché c'è l'euro, facciamo la svalutazione del sistema? Il secondo rimprovero che pongo è che Confindustria si rifiuta di guardare negli occhi il sindacato. Io inviterei il governo a non consentire cle la mancanza di confronto diretto perduri, perché non fa bene a nessuno.
Occorre ripristinare un minimo di terreno unitario di collegamento fra i grandi soggetti sociali sia a favore dell'unità sindacale, sia a favore del confronto tra le parti sociali.

MESSIA
Professor Boeri esiste l'esigenza di abbassare le soglie della diffidenza tra gli attori del confronto sociale e se sì in quale modo?

BOERI
Bisogna chiaramente parlare in profondità, senza slogan e senza ideologismi. Proprio a questo proposito vorrei chiarire alcune cose che ho detto precedentemente. Forse non sono state abbastanza chiare, almeno dalla risposta dell'onorevole Sacconi. Io non intendevo dire che nel Libro Bianco c'è un tentativo di precarizzare il nostro mercato del lavoro, di trasformare tutto in lavoro autonomo. Conosco le persone che hanno lavorato al Libro Bianco. Sono persone che stimo anche intellettualmente. Trovo però che nel Libro Bianco, così come in molte successive iniziative del governo, ci siano, da una parte, analisi sbagliate e, dall'altra, un delirio di onnipotenza. L'analisi sbagliata è che si vada verso un mercato del lavoro in cui si espande ad limitum il ruolo del lavoro autonomo. Non è vero. Guardiamo i dati in giro per il mondo: non sta proprio succedendo questo. Guardiamo nei paesi che hanno conosciuto le maggiori forme di innovazione tecnologica negli ultimi anni; andiamo a guardare negli Stati Uniti. Il lavoro nei nuovi settori nella new economy è lavoro subordinato: c'è sempre un datore di lavoro e un prestatore di opera. Se nel nostro paese c'è stato uno sviluppo di lavoro autonomo è proprio perché c'erano delle tutele irrealistiche e delle rigidità nelle forme del contratto subordinato che hanno portato all'espansione di molte di figure "atipiche". Si tratta di un'espansione molto superiore a quella che si registra in altri mercati del lavoro. Il disegno irrealistico è che si possa tutelare il lavoratore aumentando la gamma di tipologie contrattuali possibili. Esiste un pensiero giuslavoristico che attraversa entrambi le componenti dello schieramento politico e che teorizza apertamente l'esistenza di un continuum di lavori, che si estende dal lavoro subordinato al lavoro autonomo. Questo pensiero sottolinea la necessità di costruire tante tipologie contrattuali quanto sono questo insieme di lavori, vale a dire un numero infinito!
A mio giudizio è un pensiero sbagliato. Primo, perché genera dei mostri. Noi stiamo creando degli ibridi in cui mettiamo insieme il peggio del lavoro autonomo col peggio del lavoro subordinato. Uniamo all'insicurezza che è tipica del lavoro autonomo gli aspetti più deleteri del lavoro dipendente. Per di più mi chiedo quale sia la figura che si occupi di far sì che le tutele siano rispettate. Abbiamo avuto fin troppa ingegneria contrattuale, fin troppa ricchezza nel definire diverse gamme contrattuali con delle tutele che sono tutte sulla carta, ma che non vengono mai applicate. Trovo questo delirio di onnipotenza in molti passi della delega; lo ritrovo anche sulle politiche dell'immigrazione. Ci sono nel disegno di legge Bossi-Fini delle cose che sono palesemente inapplicabili: non è possibile poter seguire il lavoratore immigrato come se lui fosse costantemente a disposizione dell'autorità pubblica; non esiste un'amministrazione pubblica efficiente che si occupi di queste cose, che ogni secondo possa dialogare con la persona disposta a regolarizzarsi. Quello che succede è quello che si rischia. Si crea clandestinità, si crea il sommerso. In realtà, c'è il rischio, flessibilizzando il mercato del lavoro, di giungere al risultato opposto, che è quello di creare delle regolamentazioni eccessive e quindi di incentivare ulteriormente il sommerso e la clandestinità.
C'è, invece, bisogno di tutele come gli ammortizzatori sociali che consentano una copertura più ampia di quella attuale. Le tutele vere consistono anche in una riflessione seria sulla riforma assistenziale. C'è stato un esperimento nel nostro paese e per larga parte ha avuto degli aspetti fallimentari. Possiamo imparare molte dall'esperienza negativa del reddito minimo di inserimento. Siamo l'unico paese nell'unione europea, insieme alla Grecia, che ha un sistema di assistenza sociale di ultima istanza. E' da queste tutele che bisognerebbe ripartire e ricostruire anche un dialogo e una discussione seria sulle riforme del mercato del lavoro. Bisogna ripartire parlandone a tutto campo, perché dare delle tutele vere costa. Ci sono dei problemi anche rispetto ai vincoli di bilancio. Nessuno li deve negare se vogliamo costruire un sistema di ammortizzatori sociali. Non possiamo farlo a costo zero. Ecco, nella legge delega si parla di riformare gli ammortizzatori sociali, ma non c'è nessuno stanziamento. Quindi, palesemente è già successo nella precedente legislatura che si sia concessa una delega senza poi dotarla di fondi a copertura. L'esperienza ci insegna che bisogna ragionare insieme sul mercato del lavoro, sugli ammortizzatori sociali, sull'assistenza e sulle pensioni. Io sono un convinto assertore del fatto che il nostro sistema di sicurezza sociale debba avere meno pensioni e più welfare e, quindi, è appunto per quello che io credo che il governo debba agire, ma anche riconoscere quando compie degli errori. Per me è stato un errore molto grave quello di aprire due trattative separate, una sul lavoro ed una sulla previdenza. Sono temi troppo legati. Quindi, se adesso si vuole riaprire una discussione seria sulle riforme da fare, la si riapra complessivamente.

MESSIA
Grazie al professor Boeri. Io direi che Regazzi ha una grande opportunità. In tutta la relazione, nel dibattito di questi giorni, in quello della Uilm si parla di nuove forme di tutela rispetto a quelle vecchie. Ha una grande opportunità perché ha conosciuto l'inquadramento unico, le professionalità esistenti negli anni '70: le ha vissute, le ha subite, ha contribuito a migliorarle. Approfittando della presenza dei rappresentanti del governo e dell'opposizione, che cosa chiedono i meccanici rispetto alle nuove tutele ed a una specie di globalizzazione dei diritti?

REGAZZI
Volevo incominciare dalla riforma del sistema contrattuale. L'accordo del 23 luglio, pur importante, lascia dei punti vuoti e conserva una debolezza. L'abbiamo indicata l'anno scorso mentre preparavamo la piattaforma contrattuale. Ci siamo resi conto che la contrattazione di secondo livello in effetti è inesigibile in molte parti del Paese. Data la frantumazione dell'industria metalmeccanica italiana, molti lavoratori non godono della contrattazione di secondo livello.
Riformando il sistema contrattuale, bisogna trovare il modo di rendere esigibile la contrattazione di secondo livello. Se questo non avverrà continueremo ad avere dei lavoratori che riescono a difendere, o migliorare la loro situazione economica rispetto ad un'altra parte, composta da centinaia di migliaia di lavoratori, che inesorabilmente è destinata a perdere una parte del potere d'acquisto delle retribuzioni. Questo squilibrio tra lavoratori della stessa categoria va colmato. Oggi i due livelli contrattuali sono fondamentali. Il contratto nazionale di lavoro deve difendere il potere d'acquisto di tutti i lavoratori. La contrattazione di secondo livello crea le condizioni perché venga ridistribuita la ricchezza, là dove si crea. Si determina, così, un sistema di contrattazione che sappia accogliere anche le specificità che ci sono.
Abbiamo un inquadramento professionale vecchio di 30 anni circa e che non risponde più alla situazione attuale.
Noi crediamo che bisogna cercare da una parte di valorizzare quel mondo del lavoro che ancora ci resta, quello delle tute blu. Dall'altra dobbiamo guardare a quelle figure ricercate e altamente specializzate che non siamo in grado di contattare. Ci vuole un inquadramento professionale che rivaluti la parte bassa del lavoro, quello che c'è e che vada incontro alle esigenze di quella parte di lavoratori specializzati e qualificati. In questo momento dobbiamo pensare che nel prossimo contratto di lavoro affideremo all'inquadramento professionale un valore strategico. All'art.18 ed alla sua modifica è stato attribuito un valore enorme. Il governo deve ammetterlo: è stato commesso un errore. Avere preparato una delega sulla riforma di questo articolo ha ingessato un confronto che poteva svilupparsi in maniera molto più tranquilla. Non riusciamo a capire quale occupazione si possa avere rimuovendo l'articolo 18. Conosciamo bene l'articolo 18: è un diritto di civiltà, ancor prima di considerarlo come il diritto che tutela il lavoratore da un licenziamento senza la giusta causa. Su questo valore s'è tentato di dividere il sindacato. Eccolo il grave errore. Il ministro Maroni ci ha provato più di una volta e ha sortito l'effetto opposto, unendo il Sindacato più di prima. Se vogliamo che il confronto riprenda questo argomento va accantonato. Se il governo vuole che questa trattativa si sviluppi non c'è dubbio che la questione dell'articolo 18 vada in qualche modo ricollocata.
Il libro bianco l'abbiamo letto attentamente. Il confronto sul libro bianco non può che partire dall'insieme di precarietà che devono trasformarsi in opportunità di lavoro. Quindi, sarà necessario ricercare nuovi diritti e nuove tutele. Soprattutto bisognerà immaginare che dal momento che si perde un lavoro a quello in cui se ne trova un altro ci sarà un vuoto che dovrà esser coperto dal punto di vista retributivo, previdenziale, formativo. Non c'è dubbio che su questo argomento ci dovrà essere la grande disponibilità del governo a trovare delle soluzioni.

MESSIA
Invertendo l'ordine di chi risponde e chiedendo ancora un po' di disponibilità ai nostri interlocutori pongo una domanda sul riformismo: il sindacato ha realizzato nel 1978 la svolta dell'Eur. Nel 1984 ha vissuto una nuova fase determinata da una scelta riformista. Negli anni '90 ha attuato la politica dei redditi e la concertazione.
Questi passaggi lasciano intravedere la speranza che in questo paese si affermi uno Stato caratterizzato dal riformismo, attento ai bisogni del mondo del lavoro e alle compatibilità del sistema produttivo.
Queste speranze sembrano vanificate dalla cronaca degli ultimi giorni?

BERSANI
Io sono l'ultimo che pensa che il sottosegretario Sacconi sia di primo pelo. Io credo che Berlusconi sia l'unico che ha letto Gramsci il quale sosteneva che il punto fondamentale nel controllo sociale è la costruzione del senso comune. Berlusconi è riuscito a determinare un senso comune di cui tutti quanti siamo vittime, forse anche in parte il sottosegretario Sacconi. Mi riferisco all'idea diffusa che in questi anni s'è tirato la cinghia e si è ammazzato il cavallo. Io invito il sottosegretario Sacconi e tutti quanti a farsi due conti. Dal '90 al '95, sul numero degli occupati, abbiamo riscontrato mediamente 2% in meno ogni anno; dal '96 al 2001, sul numero degli occupati, noi abbiamo avuto un più 1,5% medio ogni anno. Noi, come andamento del PIL, tirata la cinghia '96-'97 e prima parte '98, abbiamo inaugurato una tendenza che ci ha portato nel 2000-2001 ad essere sopra la media europea proprio nell'andamento del PIL, ottenendo nell'anno di grazia del 2000 un 2,9% in più che è il miglior risultato degli ultimi dieci anni. Io che non amo fare il vedovo del centro-sinistra, perché penso che abbiamo lasciato aperti anche tanti problemi, mi piacerebbe che partissimo dai dati di fatto, perché allora ragioneremmo in un'altra ottica.Vogliamo tenerla questa posizione sulla media europea in termini di ritmo occupazionale e di sviluppo del PIL? Questa è la sfida. Ora bisognerà determinare un clima favorevole. Sono disposto anche a dire che il patto di Natale ha sancito che una certa forma di concertazione che non va più.
Però c'è un punto di fondo: stiamo parlando di una corresponsabilità delle principali forze sociali attorno ai punti essenziali per la tenuta e sviluppo di un paese; se parliamo di questo, il governo ha la prima responsabilità nel costruire un clima favorevole. Siamo consapevoli che su questo terreno o si va avanti, o si rischia di andare indietro. Nella seconda ipotesi si mette a rischio una parte della concertazione, che è costituita dalla politica dei redditi. Se salta sono guai. Se, nei prossimi mesi arriviamo ad una spaccatura radicale, come pensiamo che possa reggere il confronto su aspetti essenziali di riforme come pensioni, mercato del lavoro scuola sanità e così via? E se salta la politica dei redditi che scenario può pararsi dinnanzi ai nostri occhi, per esempio, a proposito di eventuali aperture di questioni salariali, di questioni nord-sud, e alla luce di una ripresa economica che potrebbe esserci nella seconda metà dell'anno? Cosa direbbe a questo punto la Confindustria stessa?
Io dico, Sacconi, che sono il primo ad affermare che siamo arrivati a dei toni di discussione che sono francamente impensabili; io sono il primo a dire che ci sono a volte delle drammatizzazioni, ma sono anche preoccupato di sostenere che bisogna trovare una chiave. Allora il punto di fondo, lo diceva Boeri con cui sono perfettamente d'accordo, è capire qual è l'obiettivo del governo. E' suo interesse di tenere insieme il sindacato, o no? Allora, pur nelle difficoltà, bisogna trovare dei terreni sui quali sia possibile andare ad un rasserenamento di questa situazione. In questo contesto vorrei dire qualcosa anche a Confindustria, a cui rivolgo due rimproveri. Se le normative sul falso in bilancio rischiano di introdurre dei paradisi fiscali, dov'è il benchmarking in Europa? Dato che non possiamo più fare la svalutazione competitiva per le imprese, perché c'è l'euro, facciamo la svalutazione del sistema? Il secondo rimprovero che pongo è che Confindustria si rifiuta di guardare negli occhi il sindacato. Io inviterei il governo a non consentire cle la mancanza di confronto diretto perduri, perché non fa bene a nessuno.
Occorre ripristinare un minimo di terreno unitario di collegamento fra i grandi soggetti sociali sia a favore dell'unità sindacale, sia a favore del confronto tra le parti sociali.

MESSIA
Prego professor Boeri.

BOERI
La vera ragione per cui credo si debba riaprire il confronto su basi serie è che in questi mesi di grosse tensioni e conflitti a molti non è apparso chiaro quale sia il disegno di fondo di queste proposte riforme. Molte cose sono state gestite con improvvisazione e quasi con furbizia, aggiungendo all'ultimo secondo la proposta di riforma dell'articolo 18 alla delega. Ci sono altri passi nelle deleghe che sono assolutamente non chiari. Io ero l'altro giorno ad un dibattito e si discuteva tra sindacalisti e rappresentanti delle organizzazioni datoriali sull'interpretazione di un passo della delega sulle pensioni in cui si dice che si introdurrà per i nuovi assunti questa riduzione dei contributi a fronte del fatto che le prestazioni verranno tenute inalterate. La metà delle persone presenti sosteneva che i nuovi assunti pagheranno di meno all'INPS e poi, quando andranno in pensione, riceveranno la pensione come gli altri lavoratori che l'Inps l'avranno pagato per intero.
L'altra metà dei presenti sosteneva che alla fine, sommando quello che ricevono dall'INPS e quello che ricevono dai fondi pensione privati, i lavoratori riceveranno gli stessi importi. Vedete come questo se ne possono fare altri di esempi. Anche sull'articolo 18 non si capisce bene dove si vuole andare a parare: i i lavoratori avranno un contratto permanente non più protetto dall'articolo 18, o si manterranno due binari diversi, per cui avremo alcuni lavoratori ancora protetti dall'articolo 18 e altri no. Anche qui la normativa della delega non è affatto chiara, perché sembrerebbe che si possa essere ancora assunti col vecchio tipo di contratto permanente. Ecco, bisogna chiarire quali sono gli obiettivi di fondo, dirlo molto chiaramente e discuterne. Ci sono sicuramente dei costi nel fare le riforme; ci sono anche dei benefici. Io credo che agire con le furbizie non paghi alla fine, perché il modo migliore per guadagnare consenso è quello di spiegare esattamente quali sono i problemi ed essere il più possibile trasparenti. Il disegno di fondo su cui bisognerebbe lavorare di più è quello che delinea delle tutele reali, vere ed effettive che siano di base per tutti. Poi, bisognerà trovar spazio per degli agenti che siano in grado di adattare queste tutele a delle condizioni specifiche esistenti sul mercato del lavoro e non identificabili necessariamente col lavoro autonomo. Nell'ambito del lavoro dipendente ci sono delle diversità di relazioni, di esigenze produttive e di organizzazione. Qui trova spazio la contrattazione collettiva
Il sindacato ha un ruolo molto importante proprio come agente collettivo. Se la contrattazione è collettiva il sindacato ha come obiettivo quello di tenere conto di costi che altrimenti verrebbero scaricati sulla collettività. Il sindacato che a livello di azienda, per esempio, spinge affinché ci siano riqualificazione e formazione dei lavoratori impedisce che questi lavoratori diventino di fatto un peso per la collettività. Quindi, la contrattazione collettiva per essere efficace deve divenire sempre di più decentrata. Quindi, sono molto d'accordo nel dare importanza al decentramento della contrattazione a livello di impresa.

MESSIA
Grazie professor Boeri. Tonino Regazzi.

REGAZZI
Non c'è dubbio che in questi mesi in questi ultimi mesi abbiamo avuto l'impressione che il sindacato sia stato valutato come un soggetto scomodo. Qualcuno ha provato a far passare l'idea che sbarazzandosi del sindacato si sarebbe potuto lavorare tranquillamente su un progetto di cambiamento della società. Io credo che sarebbe un grave errore insistere, qualora ce ne fosse stata davvero l'intenzione, su un argomento come questo, perché, in una società come la nostra, senza un soggetto intermedio capace di governare questi fenomeni, nessun governo avrebbe potuto governare i fenomeni di cambiamento. Credo che qualunque governo di centrodestra o di centrosinistra abbia più che mai bisogno del sindacato e credo che per molti anni ancora, per fortuna, di contrattazione collettiva ce ne sarà da fare. Noi ci candidiamo sicuramente a farla. Non c'è dubbio che i tempi sono una variabile importante; per questo occorre dare delle risposte ai problemi in tempi accettabili. Pur tuttavia io qui concordo con quello che diceva Bersani: dato che esistono dei ritardi, i cambiamenti conviene farli con gradualità. E' questo il modo per fare le riforme
In una società che cambia, anche così drammaticamente, e con i problemi nuovi che saranno posti al sindacato, noi vogliamo viverlo questo passaggio, vogliamo starci dentro, cambiare insieme alla società, essere protagonisti di questo cambiamento. Bisogna fare in modo che i lavoratori assaporino il gusto del passaggio dal disagio della precarietà allo stato delle opportunità. Se il governo pensa che il ruolo del sindacato importante deve prendere atto della nostra disponibilità a cambiare. La risposta ai problemi che abbiamo davanti necessita di gradualità ma soprattutto di senso di responsabilità. Il modo con il quale è partito il confronto su temi così delicati dimostra che sono stati commessi degli errori. Adesso rischiamo di pagarli tutti.

SACCONI
La domanda sul riformismo mi fa ripensare a tanti momenti che abbiamo vissuto; che ho vissuto anch'io insieme a molti di voi.
Il riformismo non ha mai avuto vita facile in questo paese perché le grandi culture politiche tradizionali preferivano la melassa, il rinvio ed il lasciar fare, l'una; il massimalismo, l'altra.
In entrambi i casi, a mio avviso, finivano con il diventare culture politiche conservatrici e con il penalizzare proprio i soggetti più deboli nella società. Sono proprio questi soggetti che hanno maggiormente bisogno che i cambiamenti vengano governati con tempestività.
Il riformismo presuppone inevitabilmente onestà intellettuale. Il riformismo non può essere demagogia ed è anche più faticoso da spiegare. Credo che uno dei momenti più belli della mia esperienza politica sia rappresentato dalle assemblee di fabbrica, in occasione del 14 febbraio 1984, perché si contrapponeva una facile polemica, quella sul taglio della busta paga, alla difficile posizione di chi diceva: "Guarda che è un'illusione monetaria; in realtà noi vogliamo difendere il tuo potere d'acquisto".
Ricordo gli insulti di allora. Non è che le due posizioni si contrapponevano con civiltà; ci sentivamo dare dei fascisti, dei reazionari, degli affamatori. Ricordo bene le scritte sulle porte dei gabinetti contro i delegati sindacali di un certo tipo; ricordo insomma la criminalizzazione di una tesi, per quanto opinabile fosse.
Poi la storia ha stabilito che avevamo ragione. Alcuni continuano a pensare che avevamo torto. Il riformismo presuppone la curiosità del nuovo, dei cambiamenti. La stessa che ho avvertito nella relazione introduttiva e che vedo nella ricerca di capire i cambiamenti che intervengono nel mercato del lavoro.
Il riformismo presuppone, quindi, davvero l'ambizione di governare il cambiamento, di farlo con coraggio, con determinazione, non ovviamente in modo sciocco, andando a sbattere contro il muro. Perché poi, alla fine, il riformismo ha un pregio: si misura con i risultati, vuole misurarsi con l'efficacia delle azioni che ha condotto.
Ora siamo di fronte ad un passaggio che invoca l'impiego di un buon metodo riformista: vi sono cambiamenti importanti che devono essere governati nell'interesse dei più e soprattutto di coloro che si possono iscrivere tra i contraenti deboli del rapporto di lavoro.
Il tasso di occupazione più basso in Europa che l'Italia registra non nasce dal nulla; nasce da un certo impianto regolatorio, cui ritengo di avere anche a suo tempo contribuito. Questo impianto, costruito comprensibilmente in termini difensivi nel corso degli anni '50 e '60 e codificato rigidamente nel 1970, ha finito col produrre esclusione sociale.
In Italia lavora regolarmente - tra i 15 e i 65 anni - poco più che una persona su due, mentre la media europea è di 10 punti più elevata e l'obiettivo è di arrivare a 20 punti.
La meta della strategia europea per il 2010 è di raggiungere il 70%, quando paesi europei come l'Olanda hanno il 73-74%.
Questa impostazione si può già ritrovare in documento congiunto D'Alema-Blair di qualche hanno fa. Un robusto documento scientifico, immediatamente nascosto nel momento stesso in cui veniva approvato, per il veto delle CGIL.
Ed è l'impostazione oggi riconfermata dal documento politico sul mercato del lavoro dei governi italiano e britannico. Olanda e la Grecia hanno già chiesto di aderirvi. Due esecutivi, quello olandese e quello greco, che hanno rispettivamente un'estrazione sindacale e socialista.
Di quell'impostazione ritrovate nel Libro bianco almeno tre cose fondamentali:
a. la necessità di dare servizi al mercato del lavoro, perché senza di essi non ci si muove da posto a posto di lavoro e oggi non abbiamo servizi degni di questo nome, pubblici e privati;
b. il collegamento degli ammortizzatori sociali con la formazione continua: un primo riordino (e le risorse per collegarli alla formazione continua, in modo da introdurre proattività e responsabilità dell'individuo verso la ricerca di un altro posto di lavoro);
c. la diffusione del part-time; è grazie al part-time che si sono realizzati gli alti tassi di occupazione dell'Olanda (dove è praticato addirittura al 41%, con un tasso di occupazione del 74%). In Italia è praticato al 7%, con un tasso di occupazione femminile del 39,6%, il più basso d'Europa.
Anche il tasso di occupazione degli anziani in Italia è tra i più bassi d'Europa: pensate che nella mia regione, il Veneto, per gli over 55 il tasso di occupazione è del 22%.
Le forme di lavoro a tempo modulato agiscono in modo particolare su queste fasce ad alto tasso di volontarietà e quindi non si tratta di tipologie punitive. Di fatto sono contratti di qualità.
Quello che abbiamo realizzato finora lo abbiamo fatto senza strappi. Così pure per quanto riguarda le pensioni. Il professor Boeri ci ha consigliato dai giornali di fare l'immediato blocco delle pensioni di anzianità. Se l'avessimo fatto avremmo compiuto probabilmente un atto radicale, massimalista, in conflitto con tutte le parti sociali. Invece abbiamo preferito utilizzare lo strumento degli incentivi.
In questa fase, il punto che ha costituito ragione di dissenso è stata la proposta di modifica all'articolo 18. Devo dire che non aiuta l'esagerazione linguistica della CGIL: non ha aiutato parlare di violazione dei diritti elementari dell'uomo e di violazione della carta di Nizza quando si tratta di una norma che prevale in tutta Europa.
Aznar ha raggiunto recentemente un accordo con le organizzazioni sindacali spagnole sull'attenuazione della rigidità in uscita che non è la reintegrazione, ma il risarcimento a fini di incentivo per l'occupazione, soprattutto nelle parti deboli dell'economia di quel paese.
Non voglio dire che abbiamo ragione. Voglio dire che non è un'idea di radicale antagonismo ai diritti del lavoro, di violazione dei diritti umani, o un attentato alla democrazia, come ho sentito dire al congresso della CGIL, perché se il dibattito è di questo tipo, certo non c'è luogo per il dialogo.
a cura di Antonio Giulio Di Mario

torna all'homepage