UNIONE ITALIANA LAVORATORI METALMECCANICI

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Periodico nazionale di informazione della Uilm
ANNO VII - N° 4  maggio 2002

Ma dov'è la crisi?

L'industria spaziale italiana non ha conosciuto fino ad ora vere e proprie flessioni, mai segnali forti hanno mostrato vacillamenti a quella che sembrava una delle realtà più redditizie e piene di aspettative promettenti.
Oggi però i lavoratori del settore si vedono coinvolti in un processo di compressione delle attività produttive che lascia uno strascico di preoccupazioni senza precedenti.
Se ne vogliono comprendere i perchè.
Ne va del futuro dell'occupazione, di quella dei figli.
Della crescita tecnologica del paese.
Non è retorica.
E mentre scriviamo queste note, constatiamo con soddisfazione che l'Europa intende dotarsi di un proprio sistema del controllo della navigazione, lanciando nello spazio ultratmosferico il numero considerevole di 30 satelliti. Costo dell'operazione 3,2 miliardi di euro, ripartita tra Agenzia Spaziale Europea (alla quale l'Italia partecipa per il 15%) e l'Unione Europea. Ma non basta.
Evidentemente non basta nemmeno COSMO SkyMed, la costellazione di satelliti nati da un'idea italiana -oggi condivisa con la Francia- da utilizzare per l'osservazione del territorio e -tra le tante applicazioni- l'opportunità di essere un punto di monitoraggio dei disastri ambientali.
Non basta nemmeno la significativa partecipazione dell'Italia alla Stazione Spaziale Internazionale.
Non sono sufficienti i programmi per non scendere il difficile crinale del successo commerciale.
Non basta nemmeno che sui più alti scranni dell'agenzia europea siedano tanti italiani, figli di quell'industria italiana che essi stessi hanno costruito e alimentato.
Ma che sta accadendo in quell'Italia spaziale che sia pur tra tante difficoltà e cagionevolezze, si è vista dagli albori allineata alle massime potenze nella ricerca e nelle applicazioni del settore? E' vero? Sì, sembra proprio di sì, visto che il 15 dicembre 1964 dal poligono statunitense di Wallops Island veniva lanciato il primo satellite italiano.
Il primo satellite europeo.
Oggi la situazione è molto diversa da quella immaginata. E' cambiata, nel senso che la tecnologia si è evoluta ad un grado di maturità superiore non tanto alle sue aspettative, quanto alle sue richieste di mercato.
La domanda spaziale è stata ridimensionata e dopo l'esplosione della new economy nella quale si riteneva che ci sarebbero stati satelliti dappertutto, oggi ci si ritrova con satelliti scarichi di capacità, il che porta ad una competitività senza precedenti sia tra operatori che tra costruttori e non si va proprio per il sottile. Una prospettiva che non può che portare alla concentrazione delle capacità produttive verso quel paradiso dei pochi imprenditori che hanno saputo costituire le giuste alleanze e architettare le lobby commerciali verso i mercati interessati. Dunque, la messa in angolo dei più deboli.
Peccato.
Certo, quando Alenia Spazio ha comunicato la procedura di riduzione del personale, si è avvertito un senso di profonda angoscia della minaccia di dispersione di un bene accumulato con l'intelligenza umana e la lungimiranza di chi ha saputo credere alle nuove frontiere dell'industria e della scienza.
Oggi sappiamo tutti -e lo abbiamo già scritto- che il patrimonio delle tecnologie spaziali è un bene che fa tremare chi non lo possiede e rende ricco chi ne è proprietario, che rende forti quei paesi che pur di non veder disperdere la propria tecnologia, vengono aiutati da altri paesi, magari concorrenti, se non già rivaleggianti. La tecnologia spaziale è anche questo, un'immensa risorsa proprio per questo.
Il pericolo di un dilagante strabismo della strategia, tuttavia non deve impaurire solo quei lavoratori che vi concorrono (e val la pena di ricordare, che essi concorrono alla ricchezza del reddito nazionale) ma tutti coloro che nell'immediato si troveranno a dover pagare il conto dei non accordi, le disattenzioni delle istituzioni, le sovrapposizioni delle cariche, i rimandi delle decisioni.
La miopia indifferente dell'opinione pubblica e delle forze mass-mediali.
Sono costi che si pagano e anche molto caro, proiettati in realtà dalle quali le distanze sono sempre più lunghe e disagiate.
Non sembra il caso di parlare del "gigante malato". Lo hanno escluso le rappresentanze sindacali nazionali e territoriali, intervenute ad illustrare le ipotesi che poi si sono concretizzate con la firma di un accordo che attraverso forme morbide, porta ad alleggerire la struttura senza l'offesa di licenziamenti o di costose quanto dolorose forme di ammortizzazione.
"La situazione di sofferenza dell'industria spaziale in Italia -ha detto Giovanni Contento, segretario nazionale della Uilm- è causata fondamentalmente da due fattori: il calo del mercato della banda larga e una mancanza di programmazione nazionale per il settore". Un mix esplosivo che non poteva dare risultati diversi. Infatti, ad una riduzione della domanda di satelliti commerciali da 28 nel 2000 ad una previsione per i prossimi 36 mesi non superiore ai 15, forse 18 lanci per anno, fa eco un'indecisione politica che allontana il paese dal settore.
I fondi dell'ente preposto al controllo delle attività spaziali sono fermi a quattro anni fa e quindi i finanziamenti perdono di volta in volta valore. Ma non è solo questo.
Secondo Contento, all'ineguatezza dei denari stanziati, c'è di base una mancanza di strategia che in Italia sta logorando -invece che incrementare- il settore spaziale.
Quasi dieci anni fa -sono in molti a ricordarlo- il governo sembrò propenso ad abbandonare l'industria aeronautica ad un destino di naufragio, con il rischio di azzerare un patrimonio di ingegno umano ed industriale che affondava le sue origini nella stessa origine del volo a motore. Siamo di fronte ad un'edizione riveduta e corretta per il comparto spaziale?
Oggi la situazione sembra diversa: "Nel 1993 il sindacato giocò un ruolo decisivo nel convincere le forze politiche dell'importanza strategica ed economica di un settore di punta com'è l'industria aeronautica; fu un passaggio di estremo valore, che ha salvato migliaia di posti di lavoro e ha mantenuto il sapere italiano nel campo su un livello adeguato alle principali case del settore. Pensare che il settore spaziale non è strategico -ha seguitato il segretario della Uilm- è a dir poco paradossale e poi qualcuno dovrebbe alla fine spiegare che ruolo possa assumere il nostro paese in Europa, senza presenze industriali avanzate".
I perimetri industriali di spazio, difesa, aeronautica ed elicotteri sono il prezioso serbatoio delle migliori intelligenze del paese e non possono essere in alcun modo azzerati.
"Certo oggi domina una recessione ed una carenza di programmazione -aggiunge Giovanni Contento- ma se il governo dovesse pensare alla cancellazione di realtà produttive così delicate, la battaglia per la difesa del patrimonio industriale sarebbe veramente adeguata al danno che ne conseguirebbe".
Dunque, una politica inadeguata ai tempi, eternamente indecisa tra le promesse del "made in USA" e gli ingarbugliamenti della vecchia e litigiosa Europa, costantemente in dubbio tra l'ossequiosa esterofilia e un singhiozzante orgoglio di bandiera. Ma la fabbrica, l'industria, l'officina; che futuro hanno dalle nostre parti?
Siamo convinti che l'obiettivo di un'azienda attuale è la valutazione della redditività dei contratti, la riconfigurazione di alcuni progetti con la cancellazione di altri non redditizi ed il miglioramento del budget sia attraverso il piano economico dei programmi che attraverso la riduzione dei costi. Si tratta di operazioni che non hanno necessità di grosse partite attuative per essere realizzate e che consentirebbero la crescita di una cultura industriale attraverso la visibilità delle scelte e la propria consapevolezza.
Si è parlato spesso in questi ultimi tempi di un fenomeno che deve rappresentare il vero file rouge tra il vecchio e il nuovo. Torniamo nello specifico al settore spaziale. Il fattore di crescita nel settore è prevalentemente il militare, Nato in primis, il che tanto diverso dai tempi della Guerra Fredda, poi, nemmeno ci sembra. Sono diversi millenni del resto che l'uomo sta provando ad abbattere le guerre e ancora una volta il traguardo è lontano. Okay.
Sul piano commerciale, i clienti -ovvero gli operatori- si allontanano sempre più dall'area istituzionale per andare in quella dell'economia: in termini più sbrigativi, il passaggio si compie quando gli operatori hanno compreso che il business è buono e soprattutto fruttuoso e passa in mano agli investitori privati, banche, gruppi d'affari. Questo deve farci comprendere che se il business è nella commercializzazione dei canali, è sempre più complesso restare nel mercato della produzione, perchè i costi di sviluppo sono molto alti e così il prodotto e la sua commercializzazione. Senza tener conto poi dell'aspetto strategico perchè, quando si è sul libero mercato, diventa doveroso proporsi al miglior offerente, dietro il giusto compenso di quattrini.
Dunque, su un mercato che si sta evolvendo in una maniera ben diversa da come se lo erano prefissi i più pregiati studiosi della materia, è indispensabile avere l'accortezza di seguire una linea di condotta che non lasci spazio a mosse avventate. La fabbrica insomma non va dismessa, ma è necessario sia razionalizzata.
Una chiave di lettura degli eventi passati potrebbe essere il dover incentrare la vita dell'azienda sui programmi. Verità ovvia quanto spesso inesplorata. I programmi ci sono, sono quelli elencati prima ed il loro successo può innescare un volano di attività in grado di garantire un futuro prospero per il comparto nazionale, un posto dignitoso in Europa, un prestigio internazionale non sempre goduto. Questo consente di catturare quote di mercato attraverso l'aumento della competitività. Si tratta in sostanza di costruire una volontà di promuovere e sviluppare il talento all'interno dell'azienda, aumentandone l'efficienza.
E' necessario adeguarsi al mercato che cambia attraverso un miglioramento della capacità professionale per clienti difficili e esigenti. Come? Attraverso una formazione seria, attraverso una diffusione di cultura aziendale che non sia fatta da campanilismi di quartiere ma dalla consapevolezza di appartenere a qualcosa di valore.
E non aspettarsi elemosine dallo stato padrone, ma solo il dovuto sostegno perchè certe professionalità non vengano meno. La strada è più lunga di quanto si possa immaginare: in un recente incontro con il governo, il sindacato ha dovuto denunziare ancora una volta che si deve attendere pazientemente la farraginosa macchina della burocrazia italiana. La legge 140 che norma la tecnologia duale è ferma, mancano le regole di applicabilità. Un altro bell'esempio che rende difficile, sempre troppo difficile trovare un senso di comune appartenenza!
Tutto il resto sono parole che non riempiono nessun contenuto.
Enrico Ferrone

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