UNIONE ITALIANA LAVORATORI METALMECCANICI

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Periodico nazionale di informazione della Uilm
ANNO VII - n° 7  settembre 2002

Rivedere la struttura contrattuale

Tutti prevedono un autunno difficile sul piano sia economico sia sindacale. Le difficoltà sono confermate dal cattivo avvio delle trattative contrattuali per il pubblico impiego. Le ultime notizie sul fabbisogno pubblico peggiorano le previsioni. Ciò è tanto più grave perché‚ è da diversi mesi che i dati forniti dal Governo sono corretti al ribasso.
Le cifre di un anno fa sono tragicamente infondate. Anche le cifre del Dpef (Documento di programmazione economico e finanziario) del luglio scorso sono risultate senza fondamento. La crescita economica è precipitata sotto l'1% e forse di molto. L'obiettivo del deficit annuale all'1,1% è lontanissimo. Si parla di una cifra doppia.
Lo stock del debito pubblico ha smesso di diminuire per la prima volta dal 1995, nonostante le ingegnerie finanziarie del ministro dell'Economia. L'inflazione prevista all'1,4% viaggia sopra il 2,3%. Il gettito fiscale della prima parte dell'anno è caduto. Non solo per il calo della crescita economica ma anche per un clima di lassismo fiscale creato dal Governo con le promesse ripetute di condoni e con esempi non certo edificanti di rigore pubblico.
La situazione è grave e qualcuno dice che il peggio deve ancora arrivare.
L'esecutivo è chiamato a scelte difficili. Sul fronte economico non bastano rassicurazioni generiche nè servono provvedimenti inutili o dannosi come il blocco delle tariffe. Tantomeno vale continuare con condoni, che possono solo far guadagnare qualche mese.
Sul fronte sindacale le alternative sono altrettanto difficili. Una strada è di rinviare le scelte più impopolari. E' la via più probabile data l'abitudine di questo Governo, ma non la più utile. Guadagnar tempo significa sospendere le riforme del mercato del lavoro e delle pensioni, e in materia sindacale concedere un recupero salariale che tenga conto se non dell'inflazione reale almeno di un obiettivo ragionevole di inflazione programmata. Con un'inflazione effettiva del 2,4%, continuare a chiedere il rispetto dell'1,4% nei contratti collettivi è poco credibile. Tradisce il senso dell'accordo del luglio '93, che pure il Governo dice di voler rispettare. Se il Governo segue questa strada può evitare lo scontro frontale col sindacato, in particolare con Cisl e Uil. Ma le conseguenze sarebbero gravi sia sul fronte della finanza pubblica (altri soldi per i dipendenti pubblici) sia per l'inflazione e per la stabilità economica, già pregiudicate dall'assenza di una seria politica del Governo.
L'altra strada opposta, è di mantenere fermo il parametro dell'1,4% come metro dell'inflazione nei contratti collettivi e di confermare le iniziative di riforma programmate, la delega sul mercato del lavoro comprese le modifiche dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori sui licenziamenti, la legge di riforma pensionistica, magari introducendo incentivi per scoraggiare le pensioni di anzianità come sembra essere intenzione del ministero dell'Economia.
Questa alternativa porterebbe sicuramente a tensioni sindacali. Cisl e Uil sono già preoccupate per il precario equilibrio del cosiddetto Patto per l'Italia da loro concluso con il Governo e hanno già detto che non possono permettere un taglio dei salari nè accettare sacrifici ulteriori sulle pensioni.
Un'area di confronto importate sarà quella riguardante la struttura della contrattazione collettiva, in particolare dei rapporti fra contratto nazionale e contrattazione decentrata.
Il tema non è congiunturale ma appunto di struttura. Sarebbe sbagliato strumentalizzare l'esigenza avanzata da più parti di puntare a un più deciso decentramento della contrattazione come un modo per aggirare la questione degli aumenti salariali e del loro rapporto con la inflazione.
Di decentramento, contrattazione e di valorizzazione della contrattazione aziendale si parla da anni. Già la Commissione Giugni del 1998 - quindi in epoca non sospetta - ha rilevato che l'assetto delineato dall'accordo del 23 luglio 1993 andava adattato soprattutto per dare più spazio alla contrattazione aziendale e per collegare più strettamente la retribuzione all'andamento della produttività.
La necessità di rivedere la struttura contrattuale per renderla più flessibile è acutizzata dalle spinte di un'economia fortemente competitiva e in corso di continui aggiustamenti che richiede maggiore capacità di adattamento di tutti gli elementi del sistema produttivo, compreso il costo del lavoro.
Due piste mi sembrano particolarmente importanti. Il contratto collettivo nazionale deve mantenere la sua rilevanza; ma deve diventare più leggero acquisendo sostanzialmente un valore di garanzia :garanzia di un andamento retributivo capace di mantenere il valore di acquisto e di alcuni elementi normativi comuni alla generalità dei lavoratori.
La contrattazione aziendale deve essere la sede per correlare la retribuzione, di una sua parte significativa, alla produttività: per questo la retribuzione aziendale va favorita con una decontribuzione aumentando la quantità di sgravi contributivi già stabiliti nel 1998 e che hanno avuto un buon successo.
L'alleggerimento delle quote retributive legate alla produttività è il modo più opportuno per avviare la riduzione dei costi contributivi che gravano sui salari che è un obiettivo più generale da perseguire.
Nel percorso del decentramento contrattuale un problema delicato sorge dal fatto che la contrattazione aziendale copre solo una parte dell'universo interessato e lascia fuori la platea delle piccole aziende che costituiscono l'ossatura del tessuto produttivo in molti territori. Applicare a livello territoriale la contrattazione decentrata e gli aumenti di produttività da distribuire in questa sede è difficile ma non impossibile. In alcuni settori - edili, apicoltura - esistono esperienze particolari, ma su cui si può riflettere. Occorre evitare sicuramente che si verifichino sovrapposizioni fra il livello aziendale e quello territoriale; due livelli bene coordinati sono utili, tre livelli sarebbero del tutto inaccettabili.
Sul tema della struttura contrattuale l'auspicio è che le parti sociali riescano a interloquire proficuamente con risultati di comune utilità. Sarebbe un buon segnale per un autunno così delicato.
Tiziano Treu

Tiziano Treu è professore di Diritto del lavoro nell'Università Cattolica di Milano. E'stato Ministro del lavoro nei governi Dini e Prodi (1995-98), Ministro dei trasporti nel governo D'Alema (1998-99). Attualmente è Senatore della Repubblica. Il suo ultimo libro è stato pubblicato dalla casa editrice Il Mulino e si intitola "Politiche del lavoro. Insegnamenti di un decennio".

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