UNIONE ITALIANA LAVORATORI METALMECCANICI

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Periodico nazionale di informazione della Uilm
ANNO VIII - n° 8  ottobre/novembre 2002

Contratti a tempo determinato: aprire una discussione nel merito

L'argomento su cui mi voglio esercitare è tuttora al centro di una scottante contrapposizione: mi sto riferendo alla normativa sui contratti a tempo determinato. La Fiom (si veda il documento della Segreteria nazionale del 16 settembre) accusa Cisl e Uil di aver ulteriormente liberalizzato questa forma di contratto di lavoro con la definizione dell'avviso comune che poi è stato recepito dal Governo ed è divenuto legge dello Stato con l'emanazione del D. Lgs.vo 368/2001.
La scelta dell'argomento è determinata sia dal fatto che l'avviso comune è stato il primo tema su cui si è registrata una spaccatura tra Uil e Cisl da una parte e Cgil dall'altra, sia perché gli effetti giuridici di questa nuova normativa nell'industria metalmeccanica decorreranno dalla scadenza del contratto nazionale di lavoro, cioè dal prossimo 1° gennaio.
L'approccio - necessariamente un po' tecnico - che adotterò è quello di esaminare il testo del Decreto 368/2001 e provare a immaginarne gli effetti sia sulla realtà produttiva metalmeccanica sia su quella della normativa contrattuale. Evidenzierò in particolare quello che - secondo me - andrebbe scritto nel nuovo contratto di lavoro su questo argomento e perchè.
La prima e più rilevante novità è che dal 1° gennaio non esistono più le causali definite dalla legge 56/1987 o dalla contrattazione collettiva ma si consente l'apposizione del termine a condizione che ci siano "ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo" e queste devono risultare da un atto scritto. Per tutelare i lavoratori dagli abusi, questa sintetica formulazione sarà più efficace delle causali? Io ritengo di sì, ma anche a voler essere malevoli nei confronti di questa norma, mi pare difficile non riconoscerle un'efficacia almeno pari a quella della giungla di causali sedimentata nel tempo dalle più diverse fonti (legge 230/1962, Accordi interconfederali, Ccnl e accordi aziendali).
Il riferimento all'esistenza di ragioni oggettive per apporre un termine a un contratto di lavoro dovrebbe eliminare o almeno contenere sia l'utilizzo del contratto a termine come un periodo di prova lungo, sia la possibilità di assunzione a termine basate su particolari requisiti dei futuri dipendenti. Si pensi ai contratti di inserimento, normati dall'Accordo interconfederale 18 dicembre 1988: si tratta di una quota di assunzioni fino a un massimo del 10% dei dipendenti la cui causale era esclusivamente la condizione del lavoratore da assumere, disoccupato da lungo tempo.
Dal 1° gennaio 2002, nell'industria metalmeccanica per stipulare un contratto a termine la disagiata condizione soggettiva del lavoratore dovrà necessariamente coesistere con le ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive. Se vi sono invece ragioni per procedere a un'assunzione a tempo indeterminato (si pensi al turn-over) non si potrà ricorrere al contratto a termine, pena il rischio di un vizio di motivazione che, come è noto, è sanzionato con la conversione in un contratto a tempo indeterminato. Certo le imprese potranno aggirare l'ostacolo con altre forme flessibili, per esempio il lavoro temporaneo, ma questo costerà loro un po' di più. La precarietà verrà così disincentivata anche sul piano dei costi. Mentre è sicuramente più auspicabile che le imprese ricorrano ai contratti di formazione lavoro o all'apprendistato, contratti a causa mista che prevedono per chi viene inserito in un'impresa senza avere esperienza di lavoro, dei percorsi formativi.
Un altro punto rilevante della nuova normativa è il divieto di assunzione con contratto a tempo determinato per le imprese che non hanno svolto la valutazione dei rischi prevista dal D.Lgs.vo 626/1994. Mi sembra un intervento assai opportuno vista la correlazione tra lavoro atipico e infortuni sul lavoro. Si tratterà comunque di evitare che la valutazione dei rischi sia considerata svolta tenendo conto degli aspetti meramente formali. Ritenere che sia sufficiente un documento, magari elaborato secondo uno schema standard e non aggiornato, per poter accedere ai contratti a tempo determinato, sarebbe contrario allo spirito e alla lettera sia il D.Lgs.vo 626/1994 che il 368/2001.
La disciplina della proroga, che prevede la necessità di ragioni oggettive e nel porre a carico del datore di lavoro l'onere della prova, mi pare assai utile per favorire il processo di stabilizzazione dei lavoratori a termine. Non viene invece risolto in modo diretto - ma è praticamente impossibile trovare su questo specifico ambito una soluzione giuridicamente valida - il problema degli abusi nella reiterazione di contratti a tempo determinato. Questi potranno e dovranno essere contrastati con riferimento all'oggettività delle motivazioni che consentono di apporre un termine al rapporto di lavoro.
Parimenti interessanti mi paiono gli effetti dell'articolo 6 del decreto 368/2001 che in applicazione del principio di non discriminazione prevede che il lavoratore con contratto a tempo determinato abbia la stessa retribuzione del corrispondente lavoratore a tempo indeterminato. Con l'entrata in vigore di questa normativa decadranno quindi tutte le norme previste nei contratti aziendali che prevedono il salario d'ingresso per chi è assunto con contratto a termine. Ovviamente il decreto 368 prevede l'esclusione per gli istituti incompatibili con la natura del contratto a termine e quindi chiaramente con tutti quelli che prevedono incrementi retributivi legati all'anzianità aziendale. Meno chiaro è se il premio di risultato sia compatibile o meno con la natura del contratto a termine. Sarebbe quindi prevedere, così come avremmo già dovuto fare anche per il lavoro temporanei, un sistema convenzionale per la forfettizzazione del premio di risultato per i terministi. Non farlo significherebbe affidare a giudici ed avvocati la decisione circa la compatibilità del premio di risultato con il lavoro a tempo determinato. Ma questo è rischioso per entrambi le Parti, comporterebbe un lungo periodo di incertezza normativa e, soprattutto, sarebbe mortificante per l'autonomia contrattuale delle Parti sociali.
Il decreto 368 affida inoltre alla contrattazione o più precisamente ai contratti nazionali, la definizione di importanti tutele per i lavoratori a temine:
1. prevedere modalità e strumenti formativi che aumentino la qualificazione e quindi la stabilizzazione. La Uilm pensa di fare questo con strumenti bilaterali che offrano ai terministi tutele analoghe a quelli offerti - mediante Ebitemp e Formatemp - ai lavoratori temporanei;
2. definire le modalità di informazione sulle opportunità di lavoro permanente disponibili nell'impresa e le modalità per l'esercizio del diritto di precedenza in caso di assunzioni a tempo indeterminato. Attualmente nel contratto nazionale dell'industria metalmeccanica è previsto solo un appello alla buona volontà degli imprenditori: dal 1° gennaio invece il diritto di precedenza è esigibile e dura per un anno dalla scadenza del contratto a tempo determinato. Il contratto nazionale dovrà prevedere le modalità di esercizio di questo diritto.
3. individuare i limiti quantitativi al ricorso ai contratti a tempo determinato, i cosiddetti tetti. Ritengo tuttavia che i limiti oggi previsti nel ccnl siano più che sufficienti, viste anche le esclusioni già previste nel decreto.
Mi sia consentito infine segnalare che questa nuova normativa valorizza il ruolo dei contratti nazionali. Così come già avvenuto per le norme sul lavoro temporaneo, il decreto riserva loro la definizione dei tetti ed elimina la possibilità di operare deroghe con la contrattazione aziendale, prevista nella legge 56/1987. Si tratta di un ragionamento che mi porterebbe assai lontano.
Luca M. Colonna

Schede di approfondimento per la discussione sul rinnovo contrattuale.
N° 1) Democrazia, rappresentatività e ruolo degli iscritti.

La discussione sul rinnovo del contratto nazionale che scadrà il prossimo 31 dicembre, per effetto delle forti divergenze degli ultimi mesi tra le Organizzazioni sindacali, si sta concentrando sul tema della "democrazia sindacale" e sulla necessità di ricorrere al referendum per convalidare i risultati contrattuali.
La questione però ci sembra malposta: chi può dirsi contrario alla democrazia? così come ad altri temi nobili come la pace e la giustizia sociale.
Il tema andrebbe posto più correttamente nei seguenti termini: "visto che le Organizzazioni sindacali, non rappresentano, separatamente o tutte insieme, la maggioranza dei lavoratori, come facciamo a tener conto dell'opinione dei lavoratori non iscritti, in quanto anche a costoro si applicano le norme contrattuali che i Sindacati contrattano con le Controparti?"
La soluzione del referendum, cui si è spesso (ma non sempre) ricorsi in questi anni, affida la convalida degli accordi in capo all'intera collettività dei lavoratori. Ma rappresenta una soluzione autolesionista per le Organizzazioni sindacali stesse, perché espropria del potere decisionale gli iscritti e i militanti dei sindacati stessi, cioè chi sostiene economicamente, ma anche con un impegno in termini di idee e tempo, e lo affida anche ai non iscritti, che già beneficiano dei risultati contrattuali senza sostenerne i costi.
Inoltre, il meccanismo referendario, basato su un'alternativa secca - accettare o rifiutare un determinato accordo - si presta a soluzioni demagogiche e magari controproducenti per i lavoratori stessi. Un accordo infatti è il frutto di un serrato confronto con le controparti e può essere valutato solo se confrontato con le possibili alternative, per esempio quella di non raggiungere l'accordo e di dover proseguire nelle iniziative di lotta.
Infine, il referendum, per sua natura è uno strumento che divide una maggioranza da una minoranza, uno strumento contro l'unità sindacale e contro l'unità dei lavoratori. Anche qui chi è che si definisce non unitario? Non basta la buona volontà per portare a sintesi le esigenze dei diversi gruppi del mondo del lavoro, ma trovare la sintesi, il giusto compromesso, è il compito di un Sindacato che vuole essere forte.
Ma allora niente referendum = niente democrazia? Sostenere ciò significa affermare che la sola forma di democrazia è quella diretta, e - crediamo - pochi possano condividere questa tesi.
La democrazia è innanzitutto una questione di regole e del loro rispetto. Per gli atti negoziali a livello di azienda c'è il voto della Rsu, che lo ricordiamo sono votati da tutti i lavoratori. E in questo contesto, è regolamentato - in analogia con l'ordinamento della Repubblica italiana - il ricorso a referendum abrogativo per risolvere vizi di mandato tra Rsu e l'opinione dei lavoratori. Si tratta quindi di applicare le regole che esistono ed eventualmente di spiegare cosa va cambiato, aprire una discussione e concordare sui cambiamenti da apportare. La Uilm non si è mai sottratta a confronti di questo tipo.
Per quando riguarda il contratto nazionale, invece non esistono regole da applicarsi per la convalida degli accordi da parte dell'insieme dei lavoratori. La Uilm ritiene che per le ragioni sopra riportate il referendum non sia lo strumento più adeguato.
Proponiamo invece di adottare - con i necessari aggiustamenti - il modello di misura della rappresentatività adottato nel settore Pubblico: in questo modello possono validamente sottoscrivere i contratti, una o più Organizzazioni che rappresentano il 50% + 1 dei lavoratori, calcolato come media tra i dato associativo (gli iscritti) e i voti ottenuti nelle elezioni delle Rsu. Oppure che abbiano raccolto il 60% dei consensi nelle elezioni per le Rsu, in questo caso si prescinde quindi dal dato associativo.
Certo, importare nel settore metalmeccanico questo modello presenta due difficoltà:
1. l'esigenza di certificare il numero degli iscritti e dei voti ottenuti in migliaia di stabilimenti metalmeccanici;
2. far svolgere le elezioni per le Rsu anche nelle imprese non sindacalizzate.
Ma, a parte il fatto che laddove non si svolgono le elezioni, presumibilmente non si svolge neppure il referendum, si tratta di difficoltà superabili con la buona volontà di Fim, Fiom e Uilm.
Questo modello coniuga la partecipazione di tutti i lavoratori con la tutela del ruolo degli iscritti e rende possibile un confronto negoziale efficace e, contemporaneamente, legittimato dal mandato degli iscritti e dei non iscritti. Questa "ricetta" non può - ovviamente - essere disponibile per il prossimo rinnovo contrattuale, ma ci pare importante cominciare a discuterne.
La Uilm ha dichiarato la propria disponibilità a ricorrere al referendum a condizione che questo sia su una piattaforma unitaria e che riguardi tutte le scelte fatte nella gestione della vertenza e quindi anche sulle iniziative di lotta.
La Uilm quindi, per fare una piattaforma unitaria, condizione indispensabile per un rinnovo contrattuale adeguato alle esigenze e ai problemi dei metalmeccanici, è disponibile a mettere da parte le proprie proposte e i propri convincimenti, a fare un "passo indietro" e a cercare una mediazione unitaria. Attendiamo segnali concreti di analoga disponibilità e di buona volontà.

n. 2) Le nostre proposte su:
1. Bilateralità,
2. Modifica del sistema di classificazione
1. Bilateralità
La bilateralità, cioè la costituzione per accordo tra le Parti sociali di una struttura o ente bilaterale per svolgere compiti o fornire servizi indicati dall'accordo costitutivo, ha rappresentato e rappresenta tuttora per il movimento sindacale un utile strumento per la tutela dei lavoratori e per la sindacalizzazione.
In particolare Cgil, Cisl e Uil o loro categorie hanno costituito con le rispettive controparti Enti bilaterali in vari settori: agricoltura, artigianato, commercio e servizi, edilizia e lavoro interinale. Settori cioè accumunati dalla frammentazione dei luoghi di lavoro sul territorio.
Nel settore metalmeccanico, che in passato è stato caratterizzato dalla forte concentrazione dei lavoratori nelle grandi aziende, l'esperienza bilaterale originata dal Contratto nazionale è relativamente recente e riguarda essenzialmente i fondi di previdenza complementare come Co.Met.A. Ma sono altrettanto diffuse esperienze di Fondi di assistenza interna o di Cral costituiti e finanziati con la contrattazione aziendale.
Tre sono - per la Uilm - gli ambiti nei quali la bilateralità può svolgere una funzione positiva per i lavoratori metalmeccanici:
1. la formazione, quella sulla sicurezza e quella professionale e conseguentemente il più vasto tema del collocamento: chi meglio delle parti sociali può conoscere i fabbisogni professionali o i rischi specifici, cioè le esigenze di formazione degli addetti metalmeccanici?
2. il tema della tutela e del supporto ai lavoratori a tempo determinato, per costruire le condizioni per una loro stabilizzazione mediante la partecipazione a iniziative di formazione. Altrettanto importante è fornire loro - facendo tesoro delle esperienze già realizzate per il lavoro temporaneo - servizi o tutele quali: coperture assicurative in caso di malattie e infortuni che eccedano la durata del contratto, favorire l'accesso al credito e individuare forme di tutela previdenziale adeguate per i periodi di non lavoro o di formazione;
3. la realizzazione in una realtà sempre più caratterizzata dalla dispersione delle imprese - perlopiù di piccole dimensioni - sul territorio di un sistema di tutele e di assistenza analogo a quello garantito dalle istituzioni sociali aziendali (fondi di assistenza interna o istituti analoghi).

2. Modifiche al sistema di classificazione professionale
La revisione dopo circa 30 anni del sistema di inquadramento rappresenta una priorità dell'azione sindacale. In questa fase di elaborazione vengono individuate le categorie che presentano le maggiori problematicità:
1. i lavoratori inquadrati nella 3a e nella 4a categoria professionale cui molto spesso vengono affidati compiti di certificazione della qualità dei componenti assemblati, di collaudo e controllo, di piccola manutenzione e di logistica anche con l'ausilio di strumenti informatici;
2. i lavoratori operai inquadrati nella 5a categoria professionale che spesso svolgono mansioni "pregiate", con contenuti professionali complessi o comunque rare nel mercato del lavoro locale che vengono penalizzate dalla previsione contrattuale dell'inquadramento nella 5a categoria professionale per chi svolge attività manuali e operative prevista. Dobbiamo quindi definire un percorso che sposti il punto di intreccio tra mansioni operaie e quelle impiegatizie al livello della 5a categoria super;
3. i lavoratori inquadrati nella 6a e nella 7a categoria professionale, che rappresentano un'area di potenziale espansione dell'occupazione posto che l'industria metalmeccanica italiana riesca a competere nell'economia globale sul terreno dell'innovazione di prodotto e di processo e su quello della qualità.
Nelle richieste si dovrà quindi individuare un costo contrattuale da finalizzare alla riforma del sistema di classificazione.
La proposta del sindacato dovrà saper portare a sintesi le esigenze differenti sopra elencate dando risposta all'intero mondo metalmeccanico e non soltanto a una sua parte.
Per questo, un'ulteriore riflessione anche sul tema dell'inquadramento professionale va fatta per le realtà che applicano il Ccnl metalmeccanico ma svolgono attività non manifatturiere (si veda il punto seguente). Occorre quindi creare nel contratto gli spazi normativi specifici per le attività non manifatturiere (informatica, servizi logistici, global service, installazione e gestione di impianti, ecc.) che renda più aderenti le normative contrattuali con le esigenze produttive e dei lavoratori anche con un differente equilibrio tra inquadramento professionale e normative contrattuali.

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