UNIONE ITALIANA LAVORATORI METALMECCANICI

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Periodico nazionale di informazione della Uilm
ANNO VIII - n° 8  ottobre/novembre 2002

Lavoro: le nuove flessibilità in Italia e in Europa

La scommessa per il Governo è di avvicinare il paese all'obiettivo di Lisbona: portare il tasso di occupazione - il più basso in Europa - al 70% entro il 2010. La strada è quella delle flessibilità contrattuali, che si affiancano alle politiche attive e passive per il lavoro, a partire dal riordino degli incentivi e degli ammortizzatori sociali fino al potenziamento della formazione e dei servizi all'impiego. Sono infatti questi gli strumenti studiati per dare respiro al mercato del lavoro italiano garantendo al tempo stesso, nelle intenzioni del Governo, protezione sociale ed equità. La nuova disciplina dei rapporti di lavoro, concordata dalle parti sociali (esclusa la Cgil) nel Patto per l'Italia e delineata nel disegno di legge 848, che approderà nell'aula del Senato. A sancire il debutto di tipologie contrattuali finora sconosciute al sistema italiano è un intero capitolo del progetto di riforma. Ecco una guida per orientarsi tra le nuove regole per interinale e 'staff leasing', tempo determinato e part time, collaborazioni coordinate e continuative, 'job on call' e 'job sharing'.

LAVORO TEMPORANEO: IN ITALIA DEBUTTA LO 'STAFF LEASING'
Apertura al collocamento privato e possibilità di 'affittar è lavoratori a tempo indeterminato. Sono queste le principali novità che il Patto per l'Italia intende introdurre nell'attuale regolamentazione del lavoro interinale. Una disciplina giudicata dal Governo, già nel Libro bianco sul mercato del lavoro, ''più restrittiva di quella esistente in numerosi paesi dell'area comunitaria''. Introdotto in Italia nel 1997 dal 'Pacchetto Treu' e successivamente regolato anche dalle Finanziarie del 1999 (la legge 488) e 2000 (la 388), il lavoro temporaneo incontra nel nostro ordinamento alcuni vincoli che in parte si ritrovano nelle legislazioni di altri paesi europei. Innanzitutto, per essere abilitati come agenzia di lavoro temporaneo bisogna iscriversi in un apposito albo presso il ministero del Lavoro: l'autorizzazione viene concessa esclusivamente per svolgere l'attività di fornitura. Con la riforma, tale vincolo verrebbe a cadere e le agenzie di lavoro interinale potrebbero anche fare intermediazione di manodopera, diventando veri e propri servizi di collocamento privato, che affiancherebbero nel territorio quelli pubblici a loro volta opportunamente potenziati (attualmente solo il 4% dei rapporti di lavoro passa attraverso il collocamento). E su questo fronte debutterebbero anche gli enti bilaterali (organismi rappresentativi di sindacati e imprese).

LAVORO TEMPORANEO: QUANDO È POSSIBILE AFFITTARE UN DIPENDENTE
Ma in quali casi oggi un'impresa può 'affittar è lavoratori? Per esempio, per sostituire dipendenti assenti o per disporre temporaneamente di qualifiche non previste nei normali assetti produttivi. Mentre non è possibile la sostituzione di addetti in sciopero oppure la copertura di mansioni cui erano adibiti lavoratori licenziati nei 12 mesi precedenti o soggetti a sospensione del rapporto o riduzione dell'orario (con diritto all'integrazione salariale). Un altro divieto riguarda le imprese non in regola con la valutazione dei rischi prevista dalla legge 626 del 1994 o i lavori particolarmente pericolosi. Con la riforma, il ricorso al lavoro in affitto sarà possibile non solo nei casi previsti dalla normativa attuale e dalla contrattazione collettiva, ma anche in situazioni strutturali di carattere produttivo e organizzativo o per promuovere l'inserimento occupazionale di soggetti a rischio di esclusione sociale (dal collocamento mirato dei disabili alla regolarizzazione degli extra-comunitari). Si intende così favorire la diffusione di tale tipologia contrattuale che riguarda solo 31.000 lavoratori italiani, pari allo 0,2% del totale degli occupati (contro l'1,2% della media europea).

LAVORO TEMPORANEO: I DIRITTI DEGLI INTERINALI
Ai lavoratori interinali spetta, oltre a una retribuzione non inferiore a quella cui hanno diritto i dipendenti dell'impresa, un'indennità di disponibilità tra una missione e l'altra: sono cioè compensati per restare disponibili ad altri impieghi. I lavoratori temporanei non possono tuttavia scioperare nell'impresa utilizzatrice, mentre all'interno dell'agenzia godono dei diritti sindacali sanciti dallo Statuto dei lavoratori (in particolare, è prevista una rappresentanza unitaria per i soli dipendenti temporanei delle imprese fornitrici). Il lavoratore interinale è infatti legato all'agenzia da un contratto scritto (come quello di fornitura che l'agenzia stipula con l'impresa utilizzatrice) di lavoro subordinato, che può essere a termine o a tempo indeterminato. Ma la durata della 'missione' è presso l'impresa non può superare i 24 mesi. E qui sta una delle maggiori novità previste dal Patto per l'Italia: introducendo lo 'staff leasing' o leasing di manodopera si consente alle aziende l'affitto di lavoratori anche a tempo indeterminato, oltre che temporaneo, in presenza di particolari situazioni tecniche e organizzative. Sconosciuto finora nel nostro ordinamento, lo 'staff leasing' costituisce una modalità di gestione del personale diffusa in altri paesi, dagli Stati Uniti al Giappone, dal Regno Unito all'Olanda. Se questi ultimi sono i più liberali fra gli stati europei nel regolamentare il ricorso al lavoro temporaneo, legislazioni più restrittive si trovano in Germania, Francia e Spagna.

IL LAVORO TEMPORANEO IN GERMANIA
In Germania la disciplina del lavoro interinale è contenuta in una serie di leggi sull'occupazione che si sono susseguite negli ultimi trent'anni. Anche qui è necessaria una specifica autorizzazione per l'attività di fornitura di lavoro temporaneo, mentre non si esclude la possibilità di offrire parallelamente servizi di collocamento. Non esistono vincoli specifici alla conclusione di contratti di fornitura, ma il ricorso all'interinale è vietato nel settore edile o quando è finalizzato a sostituire in modo permanente forza lavoro stabile. La forma del contratto di prestazione di lavoro temporaneo è libera (mentre quello di fornitura deve essere scritto), ma normalmente si tratta di un rapporto a tempo indeterminato e la durata massima della missione presso l'impresa utilizzatrice è di 12 mesi. Non esiste un principio di parità di trattamento retributivo e il salario medio dei lavoratori temporanei è notevolmente inferiore rispetto ai dipendenti addetti alle medesime mansioni; tuttavia, anche agli interinali tedeschi (che rappresentano lo 0,7% degli occupati) spetta un'indennità di disponibilità tra una missione e l'altra. Non hanno diritto di sciopero n è di voto nei consigli aziendali, pur potendo partecipare alle assemblee, mentre possono essere rappresentati all'interno dell'agenzia.

IL LAVORO TEMPORANEO IN FRANCIA
La percentuale più alta tra gli interinali europei è costituita dai francesi (30%), che nel loro paese sono il 2,7% degli occupati. In Francia il lavoro temporaneo è regolamentato da una legge del 1990: non è necessaria un'autorizzazione per fornire prestazioni temporanee, ma è sufficiente l'invio all'ispettorato del lavoro competente di una sorta di dichiarazione di inizio attività. Come nell'attuale regime italiano, è vietato svolgere parallelamente funzioni di collocamento. Inoltre, il datore di lavoro può ricorrere alla fornitura di interinale soltanto per un motivo specifico e transitorio: per esempio per la sostituzione momentanea di un lavoratore, per far fronte a picchi di produttività, per le attività stagionali. Non è al contrario lecito, come del resto altrove, concludere contratti di fornitura di prestazioni temporanee per sostituire un lavoratore in sciopero, per eseguire lavori particolarmente pericolosi, nei sei mesi successivi a licenziamenti avvenuti per motivi economici o per l'esecuzione di lavori occasionali che non rientrano nella normale attività dell'impresa. È inoltre vietato il ricorso nel settore pubblico, salvo in circostanze eccezionali. Anche in Francia il contratto per la fornitura di lavoro temporaneo deve avere forma scritta, come pure quello per la prestazione, che configura un rapporto di lavoro subordinato. Il contratto tra lavoratore e agenzia dura per il tempo della missione presso l'impresa utilizzatrice, la quale però non può superare i 18 mesi, compresi eventuali rinnovi e salvo alcune eccezioni. La retribuzione è equivalente a quella percepita dai lavoratori stabili dell'impresa che ricoprono le stesse mansioni; il lavoratore interinale ha inoltre diritto a un'indennità che compensi la precarietà della sua situazione. Per quanto riguarda i diritti sindacali, all'interno dell'impresa utilizzatrice valgono gli stessi previsti per i lavoratori fissi, esclusa la possibilità di sciopero, mentre all'interno dell'agenzia è assicurata una rappresentanza equa.

IL LAVORO TEMPORANEO IN SPAGNA
Autorizzazione ed esclusività dell'attività di fornitura sono le condizioni che la legge (una norma del 1994 modificata nel 1999) detta in Spagna per le agenzie di lavoro interinale, che impiegano lo 0,8% degli occupati. È proibito quindi svolgere parallelamente attività di collocamento. Il ricorso al lavoro temporaneo è lecito per realizzare servizi specifici, fronteggiare situazioni di emergenza, sostituire momentaneamente lavoratori assenti o in attesa di coprire un determinato posto (massimo tre mesi). Vietati invece i contratti di fornitura quando si tratta di sostituire un lavoratore in sciopero o licenziato illegittimamente, per servizi particolarmente pericolosi per la salute e la sicurezza dei lavoratori o per somministrare manodopera in favore di altre agenzie di lavoro interinale. L'agenzia stipula anche qui con il lavoratore un contratto di tipo subordinato e in forma scritta, come quello di fornitura, che può essere a termine o a tempo indeterminato, ma solo in pochissimi casi non sono previsti limiti di durata alla missione presso l'impresa utilizzatrice (in altri la durata può essere di sei mesi). Il salario minimo per i lavoratori temporanei è pari a quello che il contratto collettivo prevede per i dipendenti; come in altri paesi, un'indennità di disponibilità copre il periodo che intercorre tra una missione e l'altra. Ma a differenza di ciò che accade altrove, in Spagna un lavoratore interinale può scioperare nei confronti dell'impresa utilizzatrice, sebbene non sia rappresentato all'interno dell'azienda.

IL LAVORO TEMPORANEO IN OLANDA
L'Olanda è tra i paesi europei quello con l'incidenza più alta di interinali rispetto al totale degli occupati (4%). E anche tra i più liberali nel disciplinare il lavoro temporaneo, regolato da una legge del 1990 sui servizi per l'impiego. Si può infatti ricorrere sempre al lavoro temporaneo, tranne alcuni vincoli previsti in settori specifici (costruzioni, marittimo, trasporto di cose e persone) e fatto salvo, ancora una volta, il divieto di utilizzarlo per sostituire lavoratori in sciopero. E soprattutto non sono posti limiti alla durata della missione: il lavoratore può essere quindi affittato dall'impresa anche a tempo indeterminato, consentendo così l'ipotesi di 'staff leasing'. Niente forma scritta obbligatoria per i contratti, mentre tra lavoratore e agenzia il rapporto di lavoro non necessariamente è di tipo subordinato. Le agenzie di interinale, poi, possono anche svolgere intermediazione di manodopera; per avviare l'attività è comunque necessaria un'autorizzazione specifica. Ai lavoratori temporanei, che ricevono un trattamento paritario rispetto ai dipendenti con qualifiche analoghe, non è riconosciuta nessuna indennità per compensare la precarietà dell'impiego. Quanto ai diritti sindacali, i lavoratori interinali beneficiano delle disposizioni del contratto collettivo applicabile al personale permanente dell'impresa utilizzatrice, ma non possono partecipare ai consigli di impresa n è scioperare.

IL LAVORO TEMPORANEO NEL REGNO UNITO
Ancora più liberale la regolamentazione dell'interinale nel Regno Unito, dove non esiste una disciplina specifica (il quadro di riferimento è tracciato da due norme del 1994 e del 1973) per i 254.000 lavoratori temporanei (0,9% degli occupati). Il ricorso al lavoro temporaneo è sempre lecito: l'unico divieto si incontra per la sostituzione dei lavoratori in sciopero. Come in Olanda, è ammesso inoltre lo 'staff leasing': la missione presso l'impresa utilizzatrice può andare avanti infatti anche a tempo indeterminato. Non esistono regole particolari per stipulare i contratti di fornitura e di prestazione di lavoro temporaneo, che non necessariamente si basa su un rapporto di lavoro subordinato. N è serve un'autorizzazione specifica per le agenzie, basta una semplice dichiarazione alle autorità fiscali e l'iscrizione al registro commerciale. Inoltre, è possibile svolgere parallelamente anche attività di collocamento. Niente diritto di sciopero per il lavoratore interinale e per il trattamento retributivo non sono previsti parametri di riferimento: normalmente risulta di molto inferiore a quello dei lavoratori dell'impresa utilizzatrice che svolgono mansioni analoghe.

LAVORO A TERMINE: SI AMPLIANO LE POSSIBILITA'
Riordino in vista anche per i contratti a tempo determinato. Il Governo intende semplificarne ma anche controllarne l'uso per prevenire situazioni di cronica precarietà prevedendo tutele specifiche. Il contratto dovrà infatti indicare le ragioni che, direttamente o indirettamente, consentono di apporre un termine alla durata del rapporto di lavoro. La riforma delineata dalla legge delega 848 è stata anticipata dal decreto legislativo 368 del 2001, che ha recepito la direttiva europea relativa all'accordo sul lavoro a tempo determinato. È stato dunque ammesso il ricorso al contratto a termine per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo. Vietandolo però in caso di: sostituzione di lavoratori in sciopero, compiti particolarmente pericolosi, mansioni ricoperte da lavoratori soggetti a licenziamento collettivo o a sospensione nei sei mesi precedenti, imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi prevista dalla legge 626 del 1994. Sono poi esclusi: l'agricoltura, gli impieghi non superiori a tre giorni nei settori del turismo e dei servizi, il personale volante, i dirigenti (si può stipulare un contratto non superiore a cinque anni), i rapporti con aziende che esportano o importano all'ingrosso prodotti ortofrutticoli.

LAVORO A TERMINE: LE VECCHIE REGOLE
Più circoscritti i casi di applicazione secondo la disciplina italiana previgente, che sul punto era tassativa: il tempo determinato era ammesso, per esempio, per attività stagionali, sostituzione di lavoratori assenti, attività straordinarie od occasionali, esigenza di qualifiche diverse. Nuove ipotesi potevano poi essere previste dai contratti collettivi, che in questo caso dovevano indicare anche la percentuale massima di contratti a termine stipulabili da un'impresa. La previsione di un tetto (peraltro esistente solo in Italia) resta anche nella nuova disciplina, fatte salve le ipotesi di contratti conclusi nella fase di avvio di nuove imprese, per sostituzioni o attività stagionali, in caso di incremento di produzione o lavori straordinari. Se la precedente normativa prevedeva una durata massima del contratto, variabile a seconda dei motivi, nella riforma non è previsto alcun limite: per contratti inferiori a tre anni la proroga per la stessa attività è tuttavia consentita solo una volta e in presenza di esigenze oggettive. La stessa direttiva comunitaria 99/70/CE, oltre a non prevedere causali specifiche n è divieti espliciti per la stipulazione del primo contratto a tempo determinato, non fissa la durata massima legale (salvo in assenza di norme che regolino i motivi e il numero dei rinnovi). Manca infine a livello europeo una disciplina del diritto di recesso che, nel nostro come in altri ordinamenti, prima della scadenza del contratto è ammesso solo per giusta causa e previo risarcimento del lavoratore.

IL LAVORO A TERMINE IN GERMANIA
In Germania il ricorso al lavoro a termine è possibile quando sussistono le ragioni tecniche indicate dalla legge e cioè: quando un'azienda ha bisogno di una prestazione temporanea, dopo un tirocinio o un percorso di studio volto all'inserimento nel mondo del lavoro, per sostituire un lavoratore assente, per particolari prestazioni o ragioni inerenti alla persona che giustificano il termine, per un periodo di prova oppure per prestazioni momentanee finanziate dallo Stato nell'ambito di programmi di 'job creation' (ad esempio nella ex Germania dell'Est). Il contratto a termine si può comunque stipulare - anche in assenza delle ragioni tecniche stabilite - per le nuove assunzioni (per una durata massima di due anni compresi non più di tre rinnovi) e a favore di lavoratori con più di 58 anni, purché non siano stati precedentemente dipendenti a tempo indeterminato presso lo stesso datore. Non esistono limiti alla durata o ai rinnovi (se non, come detto, nel caso di nuove assunzioni), ma il numero massimo di proroghe può essere stabilito dai contratti collettivi.

IL LAVORO A TERMINE IN FRANCIA
Simili le ragioni del ricorso al tempo determinato in Francia, dove in ogni caso non può riguardare lo svolgimento in via continuativa di un'attività normale dell'impresa. È ammesso invece per esigenze di carattere temporaneo: sostituzione di un lavoratore assente (maternità, malattia, ferie), incremento di produzione, svolgimento di mansioni occasionali e precisamente definite, attività urgenti o straordinarie o comunque a carattere temporaneo (lavori stagionali). Può inoltre essere applicato a favore di categorie svantaggiate o per incentivare l'inserimento professionale. Tra i casi di divieto, oltre alla sostituzione di scioperanti, figurano le ipotesi di lavori pericolosi o di licenziamenti avvenuti per motivi economici nei sei mesi precedenti. La legge fissa anche la durata massima del contratto: 18 mesi incluso un solo rinnovo consentito, salvo eccezioni o casi in cui il limite è implicito (sostituzione temporanea di un dipendente o lavoro stagionale) oppure quando l'attività è svolta all'estero o si è in presenza di un incremento di produzione (il limite diventa di 24 mesi). In alcuni casi è prevista anche un'indennità di precarietà da versare alla scadenza del contratto.

IL LAVORO A TERMINE IN SPAGNA
Anche in Spagna si ricorre al tempo determinato in caso di incremento di attività, per sostituire un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto o per compiere un'opera specifica. Il lavoro a termine, poi, è sempre possibile quando riguarda un lavoratore disabile o, nel caso di inserimento di un disoccupato, sia legato a programmi per la promozione dell'occupazione. Ma, contrariamente a quanto avviene altrove, in Spagna il tempo determinato non è ammesso per le attività stagionali. Per queste ultime si prevede infatti un contratto ad hoc definito 'discontinuo e a tempo indeterminato': si tratta quindi di un contratto 'tipico', riferito alla normale attività dell'azienda, che però subisce un'interruzione nei periodi dell'anno in cui non è previsto lo svolgimento di determinate mansioni. Alla contrattazione collettiva spetta poi il compito di precisare quanto stabilito dalla legge. La durata del contratto a termine varia a seconda del motivo (per esempio sei mesi nel caso di incremento di attività), ma è consentito solo un rinnovo.

IL LAVORO A TERMINE IN OLANDA E NEL REGNO UNITO
Olanda e Regno Unito, ancora una volta, sono i paesi dove il regime è più liberale. Anche per il ricorso al lavoro a termine non esistono infatti particolari limitazioni. Nei Paesi Bassi gli unici vincoli sono quelli previsti dai contratti collettivi. È stabilita però una durata massima di tre anni, compresi al massimo due rinnovi. Il recesso prima della scadenza è possibile, oltre che quando specificato dal contratto stesso e sempre dietro risarcimento, in caso di grave inadempimento, comportamento scorretto del lavoratore, particolare situazione economica dell'impresa. Non è fissato invece nel Regno Unito un limite legale alla durata o al numero di rinnovi dei contratti a tempo determinato. Analoghe le ipotesi per il recesso prima della scadenza e, in ogni caso, si applica la tutela contro i licenziamenti illegittimi.

PART TIME: LE NOVITA' DEL PATTO PER L'ITALIA
Più flessibilità per favorire la diffusione del part time, ancora poco utilizzato nel nostro paese. Secondo quanto previsto dalla riforma, il datore dovrà specificare nel contratto le ragioni di natura tecnica, organizzativa o produttiva che rendono necessaria l'elasticità della prestazione, senza ulteriori vincoli all'autonomia contrattuale. La durata dell'attività potrà essere variata con il consenso del lavoratore e prevedendo una maggiorazione retributiva: sarà così più semplice ricorrere eventualmente al lavoro supplementare o modificare, a determinate condizioni e con un congruo preavviso, la distribuzione dell'orario. Il part time servirà inoltre per favorire l'occupazione soprattutto di donne, giovani o lavoratori che rientrano nel mercato dopo un periodo di inattività, oltre ad essere applicato anche al settore agricolo come strumento utile a far emergere il lavoro non regolare. Attraverso una serie di incentivi, economici e normativi, il Governo punta infatti a incoraggiare la diffusione del tempo parziale, che in Italia interessa solo l'8% dei lavoratori, contro il 18% della media europea: lo usano meno di noi solo in Grecia (6%), mentre la media europea è del 17,7%.

PART TIME: COME FUNZIONA IN ITALIA
Per lavoro a tempo parziale in Italia - come negli altri paesi, salvo differenti modalità di calcolo dell'orario - si intende un rapporto basato su un numero di ore inferiore rispetto al tempo pieno e fissato dal contratto individuale. Il lavoratore può optare tra un part time 'orizzontale', cioè concordare una riduzione quotidiana delle ore lavorative, o 'verticale', quando l'impegno è a tempo pieno ma solo in alcuni giorni della settimana. Come negli altri paesi, poi, il part time deve essere regolato da un contratto di lavoro scritto, che può avere durata determinata o indeterminata. La parità di trattamento tra dipendenti part time e "full time" è prevista ovunque grazie al recepimento della direttiva comunitaria 97/81/CE sul lavoro a tempo parziale. Per quanto riguarda eventuali ore supplementari, in Italia è il contratto collettivo che deve stabilirne il tetto massimo annuale e giornaliero e le cause, potendo prevedere anche una maggiorazione della retribuzione (in alternativa si riconosce il 50% in più).

IL PART TIME IN GERMANIA
Tra i paesi europei dove si cerca di incoraggiare maggiormente l'uso del part time c' è sicuramente la Germania, dove già interessa il 19% dei lavoratori. Dal 1985, per esempio, nelle imprese tedesche con meno di cinque dipendenti le regole sui licenziamenti illegittimi valgono solo per i lavoratori part time. Inoltre, sulla falsariga dell'esperienza olandese, nelle aziende con più di 15 addetti il lavoratore può chiedere la riduzione dell'orario settimanale se ha almeno sei mesi di anzianità di servizio e il datore è obbligato a concederla salvo motivate ragioni economiche od organizzative. In Germania, infine, il principio della parità di retribuzione può conoscere una deroga per ragioni tecniche aziendali che giustifichino un diverso trattamento: un'ipotesi non contemplata nella legislazione italiana.

IL PART TIME IN FRANCIA
In Francia, dove il tempo parziale è scelto dal 17,2% degli occupati, gli incentivi economici sono spesso vanificati a causa di una disciplina che al contrario ne scoraggia la diffusione, come del resto avviene in Italia. La legge stabilisce una serie di aspetti che il contratto di lavoro a tempo parziale deve indicare: dalla retribuzione alla durata del lavoro, dalle condizioni per modificare la ripartizione dell'orario ai limiti per le prestazioni supplementari. Queste ultime, infatti, non possono essere superiori a un decimo dell'orario fissato n è trasformare l'impegno in un tempo pieno; in ogni caso, il rifiuto di svolgere lavoro supplementare al di là di quanto fissato dal contratto non costituisce giusta causa di licenziamento, così come la non accettazione di una modifica nella ripartizione dell'orario decisa dal datore a certe condizioni. Ulteriori regolamentazioni possono essere introdotte dai contratti collettivi.

IL PART TIME IN SPAGNA
Anche in Spagna ci si è resi conto dell'insufficienza di incentivi economici per il part time (scelto solo dall'8,3% dei lavoratori), spesso non collegati a quelli di natura normativa. Così, con la riforma del 2001 sono stati notevolmente ampliati gli spazi di ricorso al lavoro supplementare. Eventuali ore in più devono essere comunque concordate tra datore e lavoratore per iscritto e solo per contratti a tempo indeterminato: il numero di ore supplementari non potrà superare il 15% di quelle ordinarie (ma i contratti collettivi possono alzare il limite fino al 60%) e il loro svolgimento è soggetto al rispetto della disciplina prevista nei contratti collettivi. Più flessibile anche la distribuzione dell'orario, non più commisurato al limite massimo del 77% rispetto al tempo pieno: è sufficiente infatti che la durata sia inferiore a quella normale. Il numero di ore giornaliero, mensile o annuale in cui il lavoratore presta servizio deve essere indicato nel contratto. Tra gli incentivi normativi per il part time è prevista inoltre, nei 24 mesi successivi alla stipula, la riduzione dei contributi che il datore deve versare nel caso di assunzione di categorie svantaggiate (giovani, disoccupati).

IL PART TIME IN OLANDA E NEL REGNO UNITO
Ampi incentivi a favore del part time sono previsti invece in Olanda, che con il 39,4% è il paese europeo con la più alta percentuale di contratti a tempo parziale: qui il lavoratore gode di un vero e proprio diritto di scelta sull'orario di lavoro, potendo liberamente optare per il tempo pieno o parziale salvo giustificate ragioni aziendali. Ma è il Regno Unito l'unico paese dove non sono richiesti adempimenti formali per questa tipologia contrattuale che attrae il 24,8% degli occupati: l'ampia flessibilità è infatti il principale incentivo normativo per favorire l'uso del part time. In attuazione della direttiva europea, viene garantita una retribuzione non meno favorevole di quella prevista per il lavoratore a tempo pieno, tuttavia trattamenti diversificati sono ammessi - contrariamente a quanto previsto nell'ordinamento italiano - per conseguire un legittimo interesse aziendale. Un'altra rilevante eccezione al principio della parità di trattamento economico rispetto al lavoratore a tempo pieno è costituita dall'ipotesi di ore supplementari: per il lavoro prestato oltre l'orario concordato è infatti ammessa una retribuzione proporzionalmente inferiore rispetto al lavoratore 'full time', purché l'orario totale non superi quello del tempo pieno; solo in questo caso il lavoratore part time ha diritto a un trattamento equiparato per le ore che superino il tetto. IL JOB ON CALL Una novità introdotta dalla riforma anche per favorire l'emersione del lavoro nero o di tecniche fraudolente. È il cosiddetto 'job on call' o 'lavoro intermittente', in cui il datore può contare sulla disponibilità immediata del lavoratore, il quale aspetta la sua chiamata: la prestazione viene quindi svolta in maniera discontinua, anche se lo schema resta quello del lavoro subordinato. Oltre alla retribuzione per le ore effettivamente lavorate, il dipendente percepisce una 'indennità di disponibilità' che compensa i periodi di inattività (come accade nel lavoro interinale). L'impresa può così attingere a una riserva di personale nei periodi di picchi produttivi. Lo strumento potrebbe essere utilizzato, nelle previsioni del Governo, anche per reinserire disoccupati al di sotto dei 25 anni o con più di 45. Il contratto a chiamata fa così l'ingresso nel nostro ordinamento, dopo sporadici e vani tentativi di sperimentarlo con l'accordo sindacale in alcune realtà aziendali. La formula è nota infatti solo nei mercati del lavoro anglosassoni. Il 'job on call', per esempio, non incontra limiti nel Regno Unito e negli Stati Uniti, oltre ad essere molto diffuso in Giappone. In ambito europeo se ne fa grande uso anche in Olanda, dove è sempre possibile ricorrervi. Qui non si è in presenza di un vero e proprio contratto di lavoro subordinato; non è fissato un numero minimo di ore, ma il lavoratore non può ricevere un compenso inferiore a tre ore per ogni chiamata (se il contratto dura più di un trimestre l'orario presunto è quello medio dei tre mesi precedenti). In Germania il datore e il lavoratore possono concordare l'esecuzione di una prestazione a seconda del volume di attività: si stabilisce la durata giornaliera o settimanale dell'orario oppure si considera un minimo di dieci ore settimanali e di tre ore consecutive giornaliere. Il datore è tenuto a comunicare al lavoratore il suo orario con quattro giorni di anticipo rispetto alla chiamata. Deroghe a favore del lavoratore possono essere introdotte dalla contrattazione collettiva. IL 'JOB SHARING' È il cosiddetto 'lavoro ripartito', che permette a due o più lavoratori di condividere la stessa prestazione. Concordando autonomamente come ripartirsi il lavoro su un orario completo (ferma restando la facoltà di poter modificare l'accordo in qualunque momento) e assumendo 'in solido' la stessa obbligazione nei confronti del datore: ciascuno si limita a svolgere la propria porzione di lavoro, ma sarà responsabile per l'esecuzione dell'intera prestazione; inoltre ognuno si impegna a sostituire l'altro in caso di impedimento. La retribuzione è ovviamente proporzionale al lavoro effettivamente prestato. Per le imprese dunque il vantaggio sta nel disporre di personale più flessibile e produttivo (si riducono per esempio le assenze per malattia), mentre i lavoratori possono disporre di uno strumento più elastico, che permette una migliore gestione dei tempi di lavoro e di vita, oltre ad agevolare il reinserimento di chi è uscito temporaneamente dal mercato. Questo tipo di contratto di fatto è già stato utilizzato nel nostro sistema, sebbene ancora poco, e regolato fino ad oggi solo da una circolare ministeriale (la 43 del 7 aprile 1998). Sorto negli Stati Uniti alla fine degli anni Sessanta e ora espressamente riconosciuto dalla legislazione dei principali paesi europei, il 'job sharing' ha trovato applicazione all'interno dell'Unione soprattutto nel Regno Unito e in Olanda. L'esperienza di altri paesi dimostra peraltro come la condivisione tra due lavoratori sia possibile per tutti i tipi di lavoro.

COSA CAMBIA PER I CO.CO.CO
È un'invenzione del nostro sistema: il 'parasubordinato' è infatti un tipo di contratto caratteristico dell'Italia, dove peraltro i tassi di lavoro autonomo sono tra i più alti al mondo (7 milioni di persone). La diffusione che si registra nel nostro paese non ha paragoni in Europa (in Germania esistono forme comparabili di quasi-subordinazione), mentre risulta nota in Giappone. L'esercito dei collaboratori coordinati e continuativi conta infatti nel 2001 quasi due milioni di persone, circa il 30% in più rispetto all'anno precedente (+36% per le donne): il 27% ha meno di 32 anni mentre il 30% un'età compresa tra i 32 e i 41. Ma con la riforma delineata dal Governo solo il 'lavoro a progetto' rientrerà in questa fattispecie, ricondotta quindi nell'area del lavoro autonomo: il lavoratore assume stabilmente, senza vincolo di subordinazione, l'incarico di eseguire un progetto o una fase di esso, con lavoro prevalentemente o esclusivamente proprio, concordando direttamente con il committente le modalità di esecuzione, la durata, i criteri e i tempi di corresponsione del compenso; il rapporto cessa nel momento in cui la realizzazione del progetto è portata a termine. In particolare, la previsione della durata della prestazione permetterà di distinguerla dalle collaborazioni di natura strettamente occasionale, che la riforma contempla essenzialmente in riferimento ad opportunità di assistenza sociale a favore di famiglie o enti senza fini di lucro da parte di disoccupati di lungo periodo o altri soggetti a rischio di esclusione. Si potrà così controllare meglio il fenomeno delle collaborazioni fittizie, che andranno eventualmente ricondotte nell'alveo del lavoro subordinato.
(da LABITALIA)

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