Periodico nazionale di informazione della Uilm
ANNO VIII - n° 8 ottobre/novembre 2002
Lavoro: le nuove
flessibilità in Italia e in Europa
La scommessa per il Governo è di avvicinare il paese all'obiettivo
di Lisbona: portare il tasso di occupazione - il più basso in Europa -
al 70% entro il 2010. La strada è quella delle flessibilità
contrattuali, che si affiancano alle politiche attive e passive per il
lavoro, a partire dal riordino degli incentivi e degli ammortizzatori
sociali fino al potenziamento della formazione e dei servizi
all'impiego. Sono infatti questi gli strumenti studiati per dare respiro
al mercato del lavoro italiano garantendo al tempo stesso, nelle
intenzioni del Governo, protezione sociale ed equità. La nuova
disciplina dei rapporti di lavoro, concordata dalle parti sociali
(esclusa la Cgil) nel Patto per l'Italia e delineata nel disegno di
legge 848, che approderà nell'aula del Senato. A sancire il debutto di
tipologie contrattuali finora sconosciute al sistema italiano è un
intero capitolo del progetto di riforma. Ecco una guida per orientarsi
tra le nuove regole per interinale e 'staff leasing', tempo determinato
e part time, collaborazioni coordinate e continuative, 'job on call' e
'job sharing'.
LAVORO TEMPORANEO: IN ITALIA DEBUTTA LO 'STAFF LEASING'
Apertura al collocamento privato e possibilità di 'affittar è
lavoratori a tempo indeterminato. Sono queste le principali novità che
il Patto per l'Italia intende introdurre nell'attuale regolamentazione
del lavoro interinale. Una disciplina giudicata dal Governo, già nel
Libro bianco sul mercato del lavoro, ''più restrittiva di quella
esistente in numerosi paesi dell'area comunitaria''. Introdotto in
Italia nel 1997 dal 'Pacchetto Treu' e successivamente regolato anche
dalle Finanziarie del 1999 (la legge 488) e 2000 (la 388), il lavoro
temporaneo incontra nel nostro ordinamento alcuni vincoli che in parte
si ritrovano nelle legislazioni di altri paesi europei. Innanzitutto,
per essere abilitati come agenzia di lavoro temporaneo bisogna
iscriversi in un apposito albo presso il ministero del Lavoro:
l'autorizzazione viene concessa esclusivamente per svolgere l'attività
di fornitura. Con la riforma, tale vincolo verrebbe a cadere e le
agenzie di lavoro interinale potrebbero anche fare intermediazione di
manodopera, diventando veri e propri servizi di collocamento privato,
che affiancherebbero nel territorio quelli pubblici a loro volta
opportunamente potenziati (attualmente solo il 4% dei rapporti di lavoro
passa attraverso il collocamento). E su questo fronte debutterebbero
anche gli enti bilaterali (organismi rappresentativi di sindacati e
imprese).
LAVORO TEMPORANEO: QUANDO È POSSIBILE AFFITTARE UN DIPENDENTE
Ma in quali casi oggi un'impresa può 'affittar è lavoratori? Per
esempio, per sostituire dipendenti assenti o per disporre
temporaneamente di qualifiche non previste nei normali assetti
produttivi. Mentre non è possibile la sostituzione di addetti in
sciopero oppure la copertura di mansioni cui erano adibiti lavoratori
licenziati nei 12 mesi precedenti o soggetti a sospensione del rapporto
o riduzione dell'orario (con diritto all'integrazione salariale). Un
altro divieto riguarda le imprese non in regola con la valutazione dei
rischi prevista dalla legge 626 del 1994 o i lavori particolarmente
pericolosi. Con la riforma, il ricorso al lavoro in affitto sarà
possibile non solo nei casi previsti dalla normativa attuale e dalla
contrattazione collettiva, ma anche in situazioni strutturali di
carattere produttivo e organizzativo o per promuovere l'inserimento
occupazionale di soggetti a rischio di esclusione sociale (dal
collocamento mirato dei disabili alla regolarizzazione degli
extra-comunitari). Si intende così favorire la diffusione di tale
tipologia contrattuale che riguarda solo 31.000 lavoratori italiani,
pari allo 0,2% del totale degli occupati (contro l'1,2% della media
europea).
LAVORO TEMPORANEO: I DIRITTI DEGLI INTERINALI
Ai lavoratori interinali spetta, oltre a una retribuzione non inferiore
a quella cui hanno diritto i dipendenti dell'impresa, un'indennità di
disponibilità tra una missione e l'altra: sono cioè compensati per
restare disponibili ad altri impieghi. I lavoratori temporanei non
possono tuttavia scioperare nell'impresa utilizzatrice, mentre
all'interno dell'agenzia godono dei diritti sindacali sanciti dallo
Statuto dei lavoratori (in particolare, è prevista una rappresentanza
unitaria per i soli dipendenti temporanei delle imprese fornitrici). Il
lavoratore interinale è infatti legato all'agenzia da un contratto
scritto (come quello di fornitura che l'agenzia stipula con l'impresa
utilizzatrice) di lavoro subordinato, che può essere a termine o a
tempo indeterminato. Ma la durata della 'missione' è presso l'impresa
non può superare i 24 mesi. E qui sta una delle maggiori novità
previste dal Patto per l'Italia: introducendo lo 'staff leasing' o
leasing di manodopera si consente alle aziende l'affitto di lavoratori
anche a tempo indeterminato, oltre che temporaneo, in presenza di
particolari situazioni tecniche e organizzative. Sconosciuto finora nel
nostro ordinamento, lo 'staff leasing' costituisce una modalità di
gestione del personale diffusa in altri paesi, dagli Stati Uniti al
Giappone, dal Regno Unito all'Olanda. Se questi ultimi sono i più
liberali fra gli stati europei nel regolamentare il ricorso al lavoro
temporaneo, legislazioni più restrittive si trovano in Germania,
Francia e Spagna.
IL LAVORO TEMPORANEO IN GERMANIA
In Germania la disciplina del lavoro interinale è contenuta in una
serie di leggi sull'occupazione che si sono susseguite negli ultimi
trent'anni. Anche qui è necessaria una specifica autorizzazione per
l'attività di fornitura di lavoro temporaneo, mentre non si esclude la
possibilità di offrire parallelamente servizi di collocamento. Non
esistono vincoli specifici alla conclusione di contratti di fornitura,
ma il ricorso all'interinale è vietato nel settore edile o quando è
finalizzato a sostituire in modo permanente forza lavoro stabile. La
forma del contratto di prestazione di lavoro temporaneo è libera
(mentre quello di fornitura deve essere scritto), ma normalmente si
tratta di un rapporto a tempo indeterminato e la durata massima della
missione presso l'impresa utilizzatrice è di 12 mesi. Non esiste un
principio di parità di trattamento retributivo e il salario medio dei
lavoratori temporanei è notevolmente inferiore rispetto ai dipendenti
addetti alle medesime mansioni; tuttavia, anche agli interinali tedeschi
(che rappresentano lo 0,7% degli occupati) spetta un'indennità di
disponibilità tra una missione e l'altra. Non hanno diritto di sciopero
n è di voto nei consigli aziendali, pur potendo partecipare alle
assemblee, mentre possono essere rappresentati all'interno dell'agenzia.
IL LAVORO TEMPORANEO IN FRANCIA
La percentuale più alta tra gli interinali europei è costituita dai
francesi (30%), che nel loro paese sono il 2,7% degli occupati. In
Francia il lavoro temporaneo è regolamentato da una legge del 1990: non
è necessaria un'autorizzazione per fornire prestazioni temporanee, ma
è sufficiente l'invio all'ispettorato del lavoro competente di una
sorta di dichiarazione di inizio attività. Come nell'attuale regime
italiano, è vietato svolgere parallelamente funzioni di collocamento.
Inoltre, il datore di lavoro può ricorrere alla fornitura di interinale
soltanto per un motivo specifico e transitorio: per esempio per la
sostituzione momentanea di un lavoratore, per far fronte a picchi di
produttività, per le attività stagionali. Non è al contrario lecito,
come del resto altrove, concludere contratti di fornitura di prestazioni
temporanee per sostituire un lavoratore in sciopero, per eseguire lavori
particolarmente pericolosi, nei sei mesi successivi a licenziamenti
avvenuti per motivi economici o per l'esecuzione di lavori occasionali
che non rientrano nella normale attività dell'impresa. È inoltre
vietato il ricorso nel settore pubblico, salvo in circostanze
eccezionali. Anche in Francia il contratto per la fornitura di lavoro
temporaneo deve avere forma scritta, come pure quello per la
prestazione, che configura un rapporto di lavoro subordinato. Il
contratto tra lavoratore e agenzia dura per il tempo della missione
presso l'impresa utilizzatrice, la quale però non può superare i 18
mesi, compresi eventuali rinnovi e salvo alcune eccezioni. La
retribuzione è equivalente a quella percepita dai lavoratori stabili
dell'impresa che ricoprono le stesse mansioni; il lavoratore interinale
ha inoltre diritto a un'indennità che compensi la precarietà della sua
situazione. Per quanto riguarda i diritti sindacali, all'interno
dell'impresa utilizzatrice valgono gli stessi previsti per i lavoratori
fissi, esclusa la possibilità di sciopero, mentre all'interno
dell'agenzia è assicurata una rappresentanza equa.
IL LAVORO TEMPORANEO IN SPAGNA
Autorizzazione ed esclusività dell'attività di fornitura sono le
condizioni che la legge (una norma del 1994 modificata nel 1999) detta
in Spagna per le agenzie di lavoro interinale, che impiegano lo 0,8%
degli occupati. È proibito quindi svolgere parallelamente attività di
collocamento. Il ricorso al lavoro temporaneo è lecito per realizzare
servizi specifici, fronteggiare situazioni di emergenza, sostituire
momentaneamente lavoratori assenti o in attesa di coprire un determinato
posto (massimo tre mesi). Vietati invece i contratti di fornitura quando
si tratta di sostituire un lavoratore in sciopero o licenziato
illegittimamente, per servizi particolarmente pericolosi per la salute e
la sicurezza dei lavoratori o per somministrare manodopera in favore di
altre agenzie di lavoro interinale. L'agenzia stipula anche qui con il
lavoratore un contratto di tipo subordinato e in forma scritta, come
quello di fornitura, che può essere a termine o a tempo indeterminato,
ma solo in pochissimi casi non sono previsti limiti di durata alla
missione presso l'impresa utilizzatrice (in altri la durata può essere
di sei mesi). Il salario minimo per i lavoratori temporanei è pari a
quello che il contratto collettivo prevede per i dipendenti; come in
altri paesi, un'indennità di disponibilità copre il periodo che
intercorre tra una missione e l'altra. Ma a differenza di ciò che
accade altrove, in Spagna un lavoratore interinale può scioperare nei
confronti dell'impresa utilizzatrice, sebbene non sia rappresentato
all'interno dell'azienda.
IL LAVORO TEMPORANEO IN OLANDA
L'Olanda è tra i paesi europei quello con l'incidenza più alta di
interinali rispetto al totale degli occupati (4%). E anche tra i più
liberali nel disciplinare il lavoro temporaneo, regolato da una legge
del 1990 sui servizi per l'impiego. Si può infatti ricorrere sempre al
lavoro temporaneo, tranne alcuni vincoli previsti in settori specifici
(costruzioni, marittimo, trasporto di cose e persone) e fatto salvo,
ancora una volta, il divieto di utilizzarlo per sostituire lavoratori in
sciopero. E soprattutto non sono posti limiti alla durata della
missione: il lavoratore può essere quindi affittato dall'impresa anche
a tempo indeterminato, consentendo così l'ipotesi di 'staff leasing'.
Niente forma scritta obbligatoria per i contratti, mentre tra lavoratore
e agenzia il rapporto di lavoro non necessariamente è di tipo
subordinato. Le agenzie di interinale, poi, possono anche svolgere
intermediazione di manodopera; per avviare l'attività è comunque
necessaria un'autorizzazione specifica. Ai lavoratori temporanei, che
ricevono un trattamento paritario rispetto ai dipendenti con qualifiche
analoghe, non è riconosciuta nessuna indennità per compensare la
precarietà dell'impiego. Quanto ai diritti sindacali, i lavoratori
interinali beneficiano delle disposizioni del contratto collettivo
applicabile al personale permanente dell'impresa utilizzatrice, ma non
possono partecipare ai consigli di impresa n è scioperare.
IL LAVORO TEMPORANEO NEL REGNO UNITO
Ancora più liberale la regolamentazione dell'interinale nel Regno
Unito, dove non esiste una disciplina specifica (il quadro di
riferimento è tracciato da due norme del 1994 e del 1973) per i 254.000
lavoratori temporanei (0,9% degli occupati). Il ricorso al lavoro
temporaneo è sempre lecito: l'unico divieto si incontra per la
sostituzione dei lavoratori in sciopero. Come in Olanda, è ammesso
inoltre lo 'staff leasing': la missione presso l'impresa utilizzatrice
può andare avanti infatti anche a tempo indeterminato. Non esistono
regole particolari per stipulare i contratti di fornitura e di
prestazione di lavoro temporaneo, che non necessariamente si basa su un
rapporto di lavoro subordinato. N è serve un'autorizzazione specifica
per le agenzie, basta una semplice dichiarazione alle autorità fiscali
e l'iscrizione al registro commerciale. Inoltre, è possibile svolgere
parallelamente anche attività di collocamento. Niente diritto di
sciopero per il lavoratore interinale e per il trattamento retributivo
non sono previsti parametri di riferimento: normalmente risulta di molto
inferiore a quello dei lavoratori dell'impresa utilizzatrice che
svolgono mansioni analoghe.
LAVORO A TERMINE: SI AMPLIANO LE POSSIBILITA'
Riordino in vista anche per i contratti a tempo determinato. Il Governo
intende semplificarne ma anche controllarne l'uso per prevenire
situazioni di cronica precarietà prevedendo tutele specifiche. Il
contratto dovrà infatti indicare le ragioni che, direttamente o
indirettamente, consentono di apporre un termine alla durata del
rapporto di lavoro. La riforma delineata dalla legge delega 848 è stata
anticipata dal decreto legislativo 368 del 2001, che ha recepito la
direttiva europea relativa all'accordo sul lavoro a tempo determinato.
È stato dunque ammesso il ricorso al contratto a termine per ragioni di
carattere tecnico, produttivo, organizzativo. Vietandolo però in caso
di: sostituzione di lavoratori in sciopero, compiti particolarmente
pericolosi, mansioni ricoperte da lavoratori soggetti a licenziamento
collettivo o a sospensione nei sei mesi precedenti, imprese che non
abbiano effettuato la valutazione dei rischi prevista dalla legge 626
del 1994. Sono poi esclusi: l'agricoltura, gli impieghi non superiori a
tre giorni nei settori del turismo e dei servizi, il personale volante,
i dirigenti (si può stipulare un contratto non superiore a cinque
anni), i rapporti con aziende che esportano o importano all'ingrosso
prodotti ortofrutticoli.
LAVORO A TERMINE: LE VECCHIE REGOLE
Più circoscritti i casi di applicazione secondo la disciplina italiana
previgente, che sul punto era tassativa: il tempo determinato era
ammesso, per esempio, per attività stagionali, sostituzione di
lavoratori assenti, attività straordinarie od occasionali, esigenza di
qualifiche diverse. Nuove ipotesi potevano poi essere previste dai
contratti collettivi, che in questo caso dovevano indicare anche la
percentuale massima di contratti a termine stipulabili da un'impresa. La
previsione di un tetto (peraltro esistente solo in Italia) resta anche
nella nuova disciplina, fatte salve le ipotesi di contratti conclusi
nella fase di avvio di nuove imprese, per sostituzioni o attività
stagionali, in caso di incremento di produzione o lavori straordinari.
Se la precedente normativa prevedeva una durata massima del contratto,
variabile a seconda dei motivi, nella riforma non è previsto alcun
limite: per contratti inferiori a tre anni la proroga per la stessa
attività è tuttavia consentita solo una volta e in presenza di
esigenze oggettive. La stessa direttiva comunitaria 99/70/CE, oltre a
non prevedere causali specifiche n è divieti espliciti per la
stipulazione del primo contratto a tempo determinato, non fissa la
durata massima legale (salvo in assenza di norme che regolino i motivi e
il numero dei rinnovi). Manca infine a livello europeo una disciplina
del diritto di recesso che, nel nostro come in altri ordinamenti, prima
della scadenza del contratto è ammesso solo per giusta causa e previo
risarcimento del lavoratore.
IL LAVORO A TERMINE IN GERMANIA
In Germania il ricorso al lavoro a termine è possibile quando
sussistono le ragioni tecniche indicate dalla legge e cioè: quando
un'azienda ha bisogno di una prestazione temporanea, dopo un tirocinio o
un percorso di studio volto all'inserimento nel mondo del lavoro, per
sostituire un lavoratore assente, per particolari prestazioni o ragioni
inerenti alla persona che giustificano il termine, per un periodo di
prova oppure per prestazioni momentanee finanziate dallo Stato
nell'ambito di programmi di 'job creation' (ad esempio nella ex Germania
dell'Est). Il contratto a termine si può comunque stipulare - anche in
assenza delle ragioni tecniche stabilite - per le nuove assunzioni (per
una durata massima di due anni compresi non più di tre rinnovi) e a
favore di lavoratori con più di 58 anni, purché non siano stati
precedentemente dipendenti a tempo indeterminato presso lo stesso
datore. Non esistono limiti alla durata o ai rinnovi (se non, come
detto, nel caso di nuove assunzioni), ma il numero massimo di proroghe
può essere stabilito dai contratti collettivi.
IL LAVORO A TERMINE IN FRANCIA
Simili le ragioni del ricorso al tempo determinato in Francia, dove in
ogni caso non può riguardare lo svolgimento in via continuativa di
un'attività normale dell'impresa. È ammesso invece per esigenze di
carattere temporaneo: sostituzione di un lavoratore assente (maternità,
malattia, ferie), incremento di produzione, svolgimento di mansioni
occasionali e precisamente definite, attività urgenti o straordinarie o
comunque a carattere temporaneo (lavori stagionali). Può inoltre essere
applicato a favore di categorie svantaggiate o per incentivare
l'inserimento professionale. Tra i casi di divieto, oltre alla
sostituzione di scioperanti, figurano le ipotesi di lavori pericolosi o
di licenziamenti avvenuti per motivi economici nei sei mesi precedenti.
La legge fissa anche la durata massima del contratto: 18 mesi incluso un
solo rinnovo consentito, salvo eccezioni o casi in cui il limite è
implicito (sostituzione temporanea di un dipendente o lavoro stagionale)
oppure quando l'attività è svolta all'estero o si è in presenza di un
incremento di produzione (il limite diventa di 24 mesi). In alcuni casi
è prevista anche un'indennità di precarietà da versare alla scadenza
del contratto.
IL LAVORO A TERMINE IN SPAGNA
Anche in Spagna si ricorre al tempo determinato in caso di incremento di
attività, per sostituire un lavoratore assente con diritto alla
conservazione del posto o per compiere un'opera specifica. Il lavoro a
termine, poi, è sempre possibile quando riguarda un lavoratore disabile
o, nel caso di inserimento di un disoccupato, sia legato a programmi per
la promozione dell'occupazione. Ma, contrariamente a quanto avviene
altrove, in Spagna il tempo determinato non è ammesso per le attività
stagionali. Per queste ultime si prevede infatti un contratto ad hoc
definito 'discontinuo e a tempo indeterminato': si tratta quindi di un
contratto 'tipico', riferito alla normale attività dell'azienda, che
però subisce un'interruzione nei periodi dell'anno in cui non è
previsto lo svolgimento di determinate mansioni. Alla contrattazione
collettiva spetta poi il compito di precisare quanto stabilito dalla
legge. La durata del contratto a termine varia a seconda del motivo (per
esempio sei mesi nel caso di incremento di attività), ma è consentito
solo un rinnovo.
IL LAVORO A TERMINE IN OLANDA E NEL REGNO UNITO
Olanda e Regno Unito, ancora una volta, sono i paesi dove il regime è
più liberale. Anche per il ricorso al lavoro a termine non esistono
infatti particolari limitazioni. Nei Paesi Bassi gli unici vincoli sono
quelli previsti dai contratti collettivi. È stabilita però una durata
massima di tre anni, compresi al massimo due rinnovi. Il recesso prima
della scadenza è possibile, oltre che quando specificato dal contratto
stesso e sempre dietro risarcimento, in caso di grave inadempimento,
comportamento scorretto del lavoratore, particolare situazione economica
dell'impresa. Non è fissato invece nel Regno Unito un limite legale
alla durata o al numero di rinnovi dei contratti a tempo determinato.
Analoghe le ipotesi per il recesso prima della scadenza e, in ogni caso,
si applica la tutela contro i licenziamenti illegittimi.
PART TIME: LE NOVITA' DEL PATTO PER L'ITALIA
Più flessibilità per favorire la diffusione del part time, ancora poco
utilizzato nel nostro paese. Secondo quanto previsto dalla riforma, il
datore dovrà specificare nel contratto le ragioni di natura tecnica,
organizzativa o produttiva che rendono necessaria l'elasticità della
prestazione, senza ulteriori vincoli all'autonomia contrattuale. La
durata dell'attività potrà essere variata con il consenso del
lavoratore e prevedendo una maggiorazione retributiva: sarà così più
semplice ricorrere eventualmente al lavoro supplementare o modificare, a
determinate condizioni e con un congruo preavviso, la distribuzione
dell'orario. Il part time servirà inoltre per favorire l'occupazione
soprattutto di donne, giovani o lavoratori che rientrano nel mercato
dopo un periodo di inattività, oltre ad essere applicato anche al
settore agricolo come strumento utile a far emergere il lavoro non
regolare. Attraverso una serie di incentivi, economici e normativi, il
Governo punta infatti a incoraggiare la diffusione del tempo parziale,
che in Italia interessa solo l'8% dei lavoratori, contro il 18% della
media europea: lo usano meno di noi solo in Grecia (6%), mentre la media
europea è del 17,7%.
PART TIME: COME FUNZIONA IN ITALIA
Per lavoro a tempo parziale in Italia - come negli altri paesi, salvo
differenti modalità di calcolo dell'orario - si intende un rapporto
basato su un numero di ore inferiore rispetto al tempo pieno e fissato
dal contratto individuale. Il lavoratore può optare tra un part time 'orizzontale',
cioè concordare una riduzione quotidiana delle ore lavorative, o 'verticale',
quando l'impegno è a tempo pieno ma solo in alcuni giorni della
settimana. Come negli altri paesi, poi, il part time deve essere
regolato da un contratto di lavoro scritto, che può avere durata
determinata o indeterminata. La parità di trattamento tra dipendenti
part time e "full time" è prevista ovunque grazie al
recepimento della direttiva comunitaria 97/81/CE sul lavoro a tempo
parziale. Per quanto riguarda eventuali ore supplementari, in Italia è
il contratto collettivo che deve stabilirne il tetto massimo annuale e
giornaliero e le cause, potendo prevedere anche una maggiorazione della
retribuzione (in alternativa si riconosce il 50% in più).
IL PART TIME IN GERMANIA
Tra i paesi europei dove si cerca di incoraggiare maggiormente l'uso del
part time c' è sicuramente la Germania, dove già interessa il 19% dei
lavoratori. Dal 1985, per esempio, nelle imprese tedesche con meno di
cinque dipendenti le regole sui licenziamenti illegittimi valgono solo
per i lavoratori part time. Inoltre, sulla falsariga dell'esperienza
olandese, nelle aziende con più di 15 addetti il lavoratore può
chiedere la riduzione dell'orario settimanale se ha almeno sei mesi di
anzianità di servizio e il datore è obbligato a concederla salvo
motivate ragioni economiche od organizzative. In Germania, infine, il
principio della parità di retribuzione può conoscere una deroga per
ragioni tecniche aziendali che giustifichino un diverso trattamento:
un'ipotesi non contemplata nella legislazione italiana.
IL PART TIME IN FRANCIA
In Francia, dove il tempo parziale è scelto dal 17,2% degli occupati,
gli incentivi economici sono spesso vanificati a causa di una disciplina
che al contrario ne scoraggia la diffusione, come del resto avviene in
Italia. La legge stabilisce una serie di aspetti che il contratto di
lavoro a tempo parziale deve indicare: dalla retribuzione alla durata
del lavoro, dalle condizioni per modificare la ripartizione dell'orario
ai limiti per le prestazioni supplementari. Queste ultime, infatti, non
possono essere superiori a un decimo dell'orario fissato n è
trasformare l'impegno in un tempo pieno; in ogni caso, il rifiuto di
svolgere lavoro supplementare al di là di quanto fissato dal contratto
non costituisce giusta causa di licenziamento, così come la non
accettazione di una modifica nella ripartizione dell'orario decisa dal
datore a certe condizioni. Ulteriori regolamentazioni possono essere
introdotte dai contratti collettivi.
IL PART TIME IN SPAGNA
Anche in Spagna ci si è resi conto dell'insufficienza di incentivi
economici per il part time (scelto solo dall'8,3% dei lavoratori),
spesso non collegati a quelli di natura normativa. Così, con la riforma
del 2001 sono stati notevolmente ampliati gli spazi di ricorso al lavoro
supplementare. Eventuali ore in più devono essere comunque concordate
tra datore e lavoratore per iscritto e solo per contratti a tempo
indeterminato: il numero di ore supplementari non potrà superare il 15%
di quelle ordinarie (ma i contratti collettivi possono alzare il limite
fino al 60%) e il loro svolgimento è soggetto al rispetto della
disciplina prevista nei contratti collettivi. Più flessibile anche la
distribuzione dell'orario, non più commisurato al limite massimo del
77% rispetto al tempo pieno: è sufficiente infatti che la durata sia
inferiore a quella normale. Il numero di ore giornaliero, mensile o
annuale in cui il lavoratore presta servizio deve essere indicato nel
contratto. Tra gli incentivi normativi per il part time è prevista
inoltre, nei 24 mesi successivi alla stipula, la riduzione dei
contributi che il datore deve versare nel caso di assunzione di
categorie svantaggiate (giovani, disoccupati).
IL PART TIME IN OLANDA E NEL REGNO UNITO
Ampi incentivi a favore del part time sono previsti invece in Olanda,
che con il 39,4% è il paese europeo con la più alta percentuale di
contratti a tempo parziale: qui il lavoratore gode di un vero e proprio
diritto di scelta sull'orario di lavoro, potendo liberamente optare per
il tempo pieno o parziale salvo giustificate ragioni aziendali. Ma è il
Regno Unito l'unico paese dove non sono richiesti adempimenti formali
per questa tipologia contrattuale che attrae il 24,8% degli occupati:
l'ampia flessibilità è infatti il principale incentivo normativo per
favorire l'uso del part time. In attuazione della direttiva europea,
viene garantita una retribuzione non meno favorevole di quella prevista
per il lavoratore a tempo pieno, tuttavia trattamenti diversificati sono
ammessi - contrariamente a quanto previsto nell'ordinamento italiano -
per conseguire un legittimo interesse aziendale. Un'altra rilevante
eccezione al principio della parità di trattamento economico rispetto
al lavoratore a tempo pieno è costituita dall'ipotesi di ore
supplementari: per il lavoro prestato oltre l'orario concordato è
infatti ammessa una retribuzione proporzionalmente inferiore rispetto al
lavoratore 'full time', purché l'orario totale non superi quello del
tempo pieno; solo in questo caso il lavoratore part time ha diritto a un
trattamento equiparato per le ore che superino il tetto. IL JOB ON CALL
Una novità introdotta dalla riforma anche per favorire l'emersione del
lavoro nero o di tecniche fraudolente. È il cosiddetto 'job on call' o
'lavoro intermittente', in cui il datore può contare sulla
disponibilità immediata del lavoratore, il quale aspetta la sua
chiamata: la prestazione viene quindi svolta in maniera discontinua,
anche se lo schema resta quello del lavoro subordinato. Oltre alla
retribuzione per le ore effettivamente lavorate, il dipendente
percepisce una 'indennità di disponibilità' che compensa i periodi di
inattività (come accade nel lavoro interinale). L'impresa può così
attingere a una riserva di personale nei periodi di picchi produttivi.
Lo strumento potrebbe essere utilizzato, nelle previsioni del Governo,
anche per reinserire disoccupati al di sotto dei 25 anni o con più di
45. Il contratto a chiamata fa così l'ingresso nel nostro ordinamento,
dopo sporadici e vani tentativi di sperimentarlo con l'accordo sindacale
in alcune realtà aziendali. La formula è nota infatti solo nei mercati
del lavoro anglosassoni. Il 'job on call', per esempio, non incontra
limiti nel Regno Unito e negli Stati Uniti, oltre ad essere molto
diffuso in Giappone. In ambito europeo se ne fa grande uso anche in
Olanda, dove è sempre possibile ricorrervi. Qui non si è in presenza
di un vero e proprio contratto di lavoro subordinato; non è fissato un
numero minimo di ore, ma il lavoratore non può ricevere un compenso
inferiore a tre ore per ogni chiamata (se il contratto dura più di un
trimestre l'orario presunto è quello medio dei tre mesi precedenti). In
Germania il datore e il lavoratore possono concordare l'esecuzione di
una prestazione a seconda del volume di attività: si stabilisce la
durata giornaliera o settimanale dell'orario oppure si considera un
minimo di dieci ore settimanali e di tre ore consecutive giornaliere. Il
datore è tenuto a comunicare al lavoratore il suo orario con quattro
giorni di anticipo rispetto alla chiamata. Deroghe a favore del
lavoratore possono essere introdotte dalla contrattazione collettiva. IL
'JOB SHARING' È il cosiddetto 'lavoro ripartito', che permette a due o
più lavoratori di condividere la stessa prestazione. Concordando
autonomamente come ripartirsi il lavoro su un orario completo (ferma
restando la facoltà di poter modificare l'accordo in qualunque momento)
e assumendo 'in solido' la stessa obbligazione nei confronti del datore:
ciascuno si limita a svolgere la propria porzione di lavoro, ma sarà
responsabile per l'esecuzione dell'intera prestazione; inoltre ognuno si
impegna a sostituire l'altro in caso di impedimento. La retribuzione è
ovviamente proporzionale al lavoro effettivamente prestato. Per le
imprese dunque il vantaggio sta nel disporre di personale più
flessibile e produttivo (si riducono per esempio le assenze per
malattia), mentre i lavoratori possono disporre di uno strumento più
elastico, che permette una migliore gestione dei tempi di lavoro e di
vita, oltre ad agevolare il reinserimento di chi è uscito
temporaneamente dal mercato. Questo tipo di contratto di fatto è già
stato utilizzato nel nostro sistema, sebbene ancora poco, e regolato
fino ad oggi solo da una circolare ministeriale (la 43 del 7 aprile
1998). Sorto negli Stati Uniti alla fine degli anni Sessanta e ora
espressamente riconosciuto dalla legislazione dei principali paesi
europei, il 'job sharing' ha trovato applicazione all'interno
dell'Unione soprattutto nel Regno Unito e in Olanda. L'esperienza di
altri paesi dimostra peraltro come la condivisione tra due lavoratori
sia possibile per tutti i tipi di lavoro.
COSA CAMBIA PER I CO.CO.CO
È un'invenzione del nostro sistema: il 'parasubordinato' è infatti un
tipo di contratto caratteristico dell'Italia, dove peraltro i tassi di
lavoro autonomo sono tra i più alti al mondo (7 milioni di persone). La
diffusione che si registra nel nostro paese non ha paragoni in Europa
(in Germania esistono forme comparabili di quasi-subordinazione), mentre
risulta nota in Giappone. L'esercito dei collaboratori coordinati e
continuativi conta infatti nel 2001 quasi due milioni di persone, circa
il 30% in più rispetto all'anno precedente (+36% per le donne): il 27%
ha meno di 32 anni mentre il 30% un'età compresa tra i 32 e i 41. Ma
con la riforma delineata dal Governo solo il 'lavoro a progetto'
rientrerà in questa fattispecie, ricondotta quindi nell'area del lavoro
autonomo: il lavoratore assume stabilmente, senza vincolo di
subordinazione, l'incarico di eseguire un progetto o una fase di esso,
con lavoro prevalentemente o esclusivamente proprio, concordando
direttamente con il committente le modalità di esecuzione, la durata, i
criteri e i tempi di corresponsione del compenso; il rapporto cessa nel
momento in cui la realizzazione del progetto è portata a termine. In
particolare, la previsione della durata della prestazione permetterà di
distinguerla dalle collaborazioni di natura strettamente occasionale,
che la riforma contempla essenzialmente in riferimento ad opportunità
di assistenza sociale a favore di famiglie o enti senza fini di lucro da
parte di disoccupati di lungo periodo o altri soggetti a rischio di
esclusione. Si potrà così controllare meglio il fenomeno delle
collaborazioni fittizie, che andranno eventualmente ricondotte
nell'alveo del lavoro subordinato.
(da LABITALIA)
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