Periodico nazionale di informazione della Uilm
ANNO VIII - n° 1 gennaio/febbraio 2003
La
crisi dello Spazio
Il 15 dicembre 1964 viene lanciato dal poligono americano di Wallops
Island, il San Marco, il primo satellite italiano -ma anche europeo-
frutto della collaborazione siglata tra gli Stati Uniti e l'Università
di Roma appena due anni prima.
Pur non avendo mai tolto il sonno alla competizione tra USA e URSS nella
conquista dello Spazio, l'Italia ha investito denari e risorse nel
settore, formalizzando il primo Piano Spaziale Nazionale nel 1979, con
l'intenzione di trasferire gli interessi del Paese dalla pianificazione
per progetti ad un approccio per aree tecnologiche, in quello che si
sarebbe rivelato un grande business nel giro di appena un paio di
decenni.
Oggi il business spaziale ha un giro d'affari complessivo stimato in 85
miliardi di dollari.
Non è uno scherzo.
Nel 2001, il maggior operatore americano del settore ha ricavato più di
sette miliardi di dollari. In Europa, nello stesso anno, il principale
raggruppamento ha guadagnato due miliardi.
Decisamente più contenute le cifre della principale industria
manifatturiera in Italia, Alenia Spazio, che nello stesso anno ha
incassato 440 milioni di dollari.
Il nostro Paese è membro attivo dell'Agenzia Spaziale Europea (ESA) fin
dalla sua costituzione, avvenuta nel 1975; l'istituzione europea ha per
suo impegno, il sostenere e promuovere le tecnologie del settore e
relative implementazioni, riducendo al tempo lo stato di dipendenza del
Vecchio Continente da Stati Uniti e Giappone. Va detto inoltre che siamo
già tra i firmatari della Convenzione per l'Organizzazione di Ricerca
Spaziale Europea (ESRO) in vigore dal 1964.
L'Italia però sviluppa contemporaneamente anche programmi nazionali e
bilaterali.
Il perché di un interesse nazionale in un settore a così alta
tecnologia è rintracciabile nell'opportunità che le imprese italiane
si sono ricavate in aree di forte competizione, quali le
telecomunicazioni e l'osservazione della Terra. Quest'ultima disciplina,
poco attesa dai mercati commerciali -ma assai più da quelli militari-
oggi meriterebbe una sempre maggiore attenzione in campo civile, visti i
continui disastri ambientali a cui è sottoposto il pianeta e la
negligenza spesso dolosa ottemperata nel suo monitoraggio. Quanto alle
telecomunicazioni, esse sono state tra i motori principali della ricerca
spaziale e rappresentano la miglior fetta di mercato. Non andrebbero
sottovalutate le aree della navigazione satellitare e della ricerca
scientifica, che sia pure in campi diversi e non misurabili tra loro,
rappresentano le nuove e più interessanti frontiere dello Spazio.
Si tratta comunque di sottoinsiemi di estremo valore scientifico e
tecnologico, che portano il paese di appartenenza alla reale capacità
di dialogare con le regioni più avanzate del mondo, ma anche con quelle
più povere per poter offrire la propria capacità nello sviluppo.
E' sembrato infatti naturale e scontato già in passato che i paesi con
le economie più forti, oppure i bilanci di determinati settori più
assistiti, sarebbero diventati prima le guide, poi i padroni di un campo
che sotto la leggera quanto nobile corteccia della ricerca scientifica,
avrebbero poi rivelato ampi segmenti di strategia militare, commerciale
ma anche industriale, finanziaria e politica.
Uscire da questi territori tecnologici è senza orma di dubbio voler
porre il paese in un'area di margine, dalla quale proprio grazie a
questo tipo di ricerca, diversi paesi emergenti se ne stanno
allontanando.
La questione italiana
Il fulcro industriale delle costruzioni destinate all'ultra-atmosferico
in Italia è Alenia Spazio, che occupa 2.303 dipendenti, almeno al 30
giugno del 2002. Di questi, 104 unità sono inquadrati nei ranghi
direttivi. E' circa il 4,5% della popolazione dell'intera azienda e
cioè per 22 dipendenti (operai, impiegati e quadri) c'è una mente
direttiva.
Da qualche mese le cose non sembrano andare tanto bene per il mercato
dello Spazio. Il fenomeno è mondiale e ne sono causa diversi fattori.
In tali contesti, i primi a doverne patire le conseguenze sono di norma
le comunità più deboli o le meno protette.
Per Alenia Spazio è la prima volta. Non era mai accaduto che i suoi
dipendenti fossero obbligati a ridurre le giornate lavorative. Nemmeno
si pensava -in tempi appena recenti- che si potesse arrivare a questo.
Recessione, fluttuazione del prezzo del dollaro, eventi politici e fatti
che a primo acchito dovrebbero rassicurare, quali ad esempio la fine
della guerra fredda e il disgelo tra l'est e l'ovest del mondo, ci hanno
abituato ad un andamento a dente di sega della domanda di tecnologia
sofisticata e quindi ad un saliscendi occupazionale, ad essa così
intimamente connesso sia i mercati destinati alle imprese ma anche per
quelli solitamente di massa.
Le attività spaziali -almeno nell'immaginifico- sembravano un mondo
completamente a parte e per il solo fatto che abbisognassero di grandi
investimenti, di grandi ricerche e di grandi scienziati parevano dover
essere messe al riparo da ogni perturbazione.
Ma tant'è. L'uragano questa volta è per tutti.
L'idea che le crisi vadano affrontate prima che esse portino gli attori
al precipizio è sicuramente nobile e non lascia spazi a negazioni.
Alcune considerazioni però sono necessarie: un settore così complesso,
come è quello dello Spazio, in cui i forti investimenti non vedono
ritorni immediati, ha necessariamente -e doverosamente- bisogno di un
appoggio dello Stato. Si tratta di applicare una strategia per non
allontanarsi dal circuito delle nazioni più potenti e la garanzia di
non perdere posizioni nelle costruzioni che possono assicurare
indipendenza tecnologica e politica. Insomma, se è vero che l'industria
dello Spazio è strategica, essa abbisogna di un'attenzione particolare
e non di una gestione fatta in modo troppo ragionieristico. E' un vivaio
ed un generatore di tecnologia, non una semplice fabbrica. Per cui,
anche i flessi devono essere gestiti con la dovuta attenzione
strategica, tenendo il personale in esercizio attraverso formazione e
quant'altro non faccia "far ruggine" ai cervelli.
Val la pena ricordare una felice espressione di Wiston Churchill:
"le industrie non sono mucche da mungere e nemmeno tigri da cui
scappare". Churchill poi era uno statista, non va dimenticato!
Va dunque sottolineato che i lavoratori di un'industria dello Spazio
sono un capitale che pretende un lungo quanto complesso addestramento,
che in buona parte avviene "on the job". Sul campo. Disperdere
la massa critica può causare dei danni veramente alti al Paese.
Che fare?Il tempo dei finanziamenti a pioggia è terminato e ora spetta
al mercato competitivo, il dover arbitrare le sorti delle industrie. Ma
proprio su queste considerazioni, va sottolineata l'importanza di una
presenza politica, che operi come guida fin dalle proposizioni
strategiche e che poi sia parte attiva nelle transazioni internazionali
attraverso il sostegno del "sistema paese", con accordi quadro
e sigle di intese. Mercati come quello degli Stati Uniti, per esempio,
beneficiano di un supporto interno che pone assai bene le imprese
interne in posizioni di sicurezza. La scelta non è sicuramente di tipo
filantropico e nemmeno sociale quanto per il sostenimento della propria
competitività.
I prodotti dello Spazio sono per buona parte destinati al mercato
istituzionale: addirittura il 75%, nel suo insieme. Dunque il terreno di
coltura esiste e può essere sostenuto con le opportune norme concordate
attraverso una politica centrale, stabilendo i ruoli e le competenze
delle diverse istituzioni che concorrono alla sua esistenza. Si tratta
insomma di coordinare le scelte e non slegarle attraverso una
competizione illogica, che non solo non porta alcun benefico, ma ne
danneggia l'immagine sullo scenario mondiale.
L'Italia è un paese vecchio e così pure le regole che ingessano le sue
imprese principali. E' necessario dunque che nella visione di un
ammodernamento, vi sia una maggiore sintonia tra gli apparati
industriali e le autorità di governo, attraverso una più efficace
politica estera di sostegno, nel convincimento che nessuna azienda, da
sola, è in grado di fronteggiare un mercato globale, specie se questo
versa in una crisi che vede prevalere la presenza di prodotti che si
allontanano da quelli tradizionali.
Vi è poi l'aspetto delle alleanze, che a quanto sembra, sono necessarie
e che non consentono di limitare le dimensioni di un'azienda. Non si
può per questo prescindere da una politica nazionale oculata e che
tenga nella giusta considerazione il patrimonio industriale e non lo
svenda alla luce di chi sa quali altri baratti.
Intanto, si è dovuto ricorrere ad una manovra di alleggerimento
attraverso l'istituto della mobilità, sia pur volontaria. Questo ha
comportato per Alenia Spazio la perdita di una forza produttiva che essa
stessa ha preparato attraverso la messa in opera di tanti programmi.
Un'operazione dolorosa, la perdita di tanti compagni di lavoro, che
l'azienda dovrebbe assolutamente tesaurizzare attraverso un'oculata
politica industriale, per evitare che il proprio patrimonio venga
sfilacciato fino alla consunzione.
Sarebbe un danno non solo al pubblico patrimonio, ma anche per quella
classe di studenti che le università italiane (sono cinque le facoltà
di ingegneria aerospaziale in Italia!) stanno per immettere sul mercato
del lavoro e per le generazioni future che vedono nelle alte tecnologie
una possibilità di impiego pregiato.
INTERVISTA A GIOVANNI CONTENTO
L'inizio di anno per i lavoratori di Alenia Spazio è molto
difficile. In un recente accordo con l'Azienda, i sindacati sono
riusciti a ridurre ad "appena" 35 giorni le giornate di cassa
integrazione ordinaria per il 2003. Saranno perdute 280 ore di lavoro
che incideranno veramente tanto nella busta paga di ogni lavoratore.
Inoltre, serpeggia il timore che lo Stato voglia uscire dalle
costruzioni spaziali, sperperando un patrimonio costruito in anni di
investimenti e lavoro.
"La crisi che in questo momento sta attraversando anche la Fiat -ha
detto Giovanni Contento, segretario nazionale della Uilm- potrebbe
essere una guida di grande interesse anche per lo Spazio: in realtà si
sta comprendendo il rischio che il nostro Paese possa perdere delle
opportunità produttive divenute ormai storiche: assieme al settore
automobilistico, anche quello delle costruzioni spaziali".
"Oggi -ha seguitato Contento, a cui FabbricaSocietà ha chiesto il
punto della situazione Spazio in Italia- si dovrebbe seguire l'esempio
del settore Difesa, il cui bilancio passa da 1,04% della Finanziaria a
1,5%. Il Governo dovrebbe porre lo stesso impegno per l'industria dello
Spazio, che rappresenta il futuro del comparto produttivo, con la sua
tecnologia avanzata e le vaste aree di interesse".
Sembra tuttavia che il recente ingresso di Finmeccanica in Telespazio
possa portare lo spostamento dell'attenzione all'area dei servizi,
chiudendo così una tradizione produttiva ben consolidata.
"Non vi è dubbio -ha risposto Contento- che Alenia Spazio abbia
avuto un grosso peso nella messa a punto di ottimi programmi. Oggi
però, assieme al segmento della progettazione e della realizzazione, è
necessario seguire anche quello della gestione dei prodotti lanciati. E'
un orientamento che è realtà in tutto il mondo ed è necessario che
anche l'Italia si allinei su questi percorsi. Ma non è altro che un
prolungamento, anzi un completamento della catena del valore che in
questo modo non vede il satellite solo nel suo aspetto di concepimento e
costruzione, ma anche del migliore utilizzo, una volta lanciato. Va anzi
sottolineata la dichiarazione che Finmeccanica ha fatto alle
organizzazioni sindacali della sua intenzione di conservare il core
business dell'aerospazio".
Sembra tuttavia che vi siano degli scollamenti tra il comparto
industriale e la politica del settore: una situazione che può
depauperare i progetti futuri e danneggiare l'immagine del Paese sui
mercati internazionali.
"I rapporti difficili tra industria e istituzioni -ha replicato
ancora Contento- sono sempre dovuti alla mancanza di una programmazione
della ricerca che chiarisca ruoli e compiti di ciascun attore. E' dunque
necessario un coordinamento nel quale si stabilisca quale sia il ruolo
della ricerca e la sua finalizzazione. Una volta che tali comportamenti
vengono identificati, non vi sarà spazio per nessuna
incomprensione".
"Noto comunque con piacere -ha concluso Giovanni Contento-
l'impegno che i lavoratori hanno mostrato nel rivendicare il futuro
dell'industria aerospaziale: un'attenzione che mostra la grande serietà
e coscienza della difesa del proprio lavoro".
Enrico Ferrone
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