UNIONE ITALIANA LAVORATORI METALMECCANICI

Corso Trieste, 36 - 00198 Roma - Tel. 06.852.622.01 - 06.852.622.02
Fax 06.852.622.03 - E-mail uilm@uil.it

 

 
Periodico nazionale di informazione della Uilm
ANNO VIII - NUMERO 5 luglio 2003

La crisi dello Spazio, il costo del lavoro

L'attenzione che le istituzioni stanno mostrando alle attività inerenti lo Spazio mostra sicuramente l'apprensione verso un settore che tutti definiscono strategico ma del quale ben pochi ne comprendono l'utilità. Il business ha un mercato complessivo -stimato dall'Unione Europea- di 167 miliardi di euro.
Lo stato dell'arte del comparto, che solo in Europa dà lavoro a 30.000 persone, in un impianto industriale di 2.000 imprese con un fatturato di 5,5 miliardi di euro all'anno, è stato ben evidenziato dal Libro Verde della Commissione Europea sulla politica dello Spazio. Si tratta di un documento che darà luogo al Libro Bianco, più operativo. Al di là dell'aspetto cromatico, così caro ai palazzi di acciaio e cristalli di Bruxelles, c'è da cogliere negli scritti, l'ansia di una struttura senza timone che dovrebbe consolidare assetti più stabili per porre in sicurezza sia il proprio futuro che quello dei suoi addetti, definendo il settore satellitare, una vera e propria infrastruttura. E' un passaggio epocale -almeno nel suo genere- nei cui sviluppi c'è il divenire delle industrie del settore, oppure la morte.
Sono lontani i tempi in cui la corsa allo spazio era una gara tra le due superpotenze che nelle loro gesta dovevano magnificare l'affermazione nazionale. Oggi i lanci -con equipaggio o senza- rappresentano un vero e proprio business fondato principalmente sulle telecomunicazioni, ma anche sulla meteorologia e l'osservazione della Terra, la navigazione assistita e -non ultima- la ricerca scientifica, propedeutica alle più fini applicazioni industriali. Veniamo ai capitali.
Il principale raggruppamento europeo ha guadagnato due miliardi nel 2001. Cifra modesta, se paragonata a quella indicata da Boeing, il primo della classifica degli operatori del settore, che ha ricavato più di sette miliardi di dollari nel solo 2001.
L'America tuttavia utilizza lo strumento spaziale come un dispositivo di dominio militare e per una supremazia dell'informazione, ponendo nel settore l'80% degli investimenti rispetto al resto del mondo. La vecchia Europa è più cauta e pur riconoscendone le valenze strategiche e alcune leve che le darebbero un posizionamento di forza in diversi campi, viaggia con l'estrema lentezza di un istituto, qual è l'Agenzia Spaziale Europea, a cui gli Stati membri devono e pretendono con meccanismi amministrativi distanti dalle regole di economia.
Negli Stati Uniti, il 50% della produzione è garantito da ordinazioni istituzionali, ovvero da agenzie concepite proprio per la tutela degli interessi del settore e poi da enti di difesa e laterali alla pubblica amministrazione, che garantiscono un presente calmo ed un futuro privo di ostacoli. Insomma, un modo efficace per definire il mercato protetto: quel porto sicuro che è nei sogni di ogni imprenditore che cerchi business.
In realtà, la lavorazione di componenti destinati allo spazio, è complessa e piena di ostacoli. Le barriere tecnologiche per accedervi sono spesso invalicabili e la promessa di remunerazione a lungo termine scoraggia un'imprenditoria di piccole e medie dimensioni. La necessità di fare lobby diventa un fattore primario di successo e non sempre le strutture o le situazioni politiche lo permettono. Anzi, una forza di governo miope e senza ambizioni porta troppo spesso ad affossare anni ed anni di impegni, invece che esaltarli comprimendo così la catena del valore.
Sono poi necessarie delle strutture che consentono la formazione del personale, elemento indispensabile per il buon funzionamento di una struttura in salute e dunque di un aumento della ricchezza. Università, centri di ricerca, laboratori attrezzati, macchine di calcolo estremamente veloci. E ancora: telecomunicazioni efficaci, aeroporti per favorire gli scambi e quant'altro rende un paese industrializzato, degno di essere definito avanzato.
Il mercato dei prodotti spaziali ha poi andamenti non sempre prevedibili: basta la défaillance ad un lanciatore per far slittare di mesi, o forse anni interi costosi programmi. La mancata saturazione di canali satellitari porta all'annullamento di ordini, mettendo a rischio intere fasce di impiego.
Nei casi di crisi, è proprio questo l'elemento debole su cui si fa leva per abbattere i costi. Una pratica che sta prendendo sempre più corpo nelle imprese e che sfilaccia il know how e sfiducia i lavoratori che si sentono preda delle oscillazioni del mercato.
Lo scenario dei primi anni del 2000 sta risentendo delle sofferenze su indicate: due gravi incidenti hanno funestato le missioni degli ultimi mesi ma non può sfuggire la delicatezza degli eventi che hanno colpito gli Stati Uniti con gli attentati terroristici dell'11 settembre di quasi due anni fa, che si sono esasperati in un maggior bisogno di sicurezza che ha portato però ad implementare solo le industrie americane. Perché l'amministrazione di Washington non ha mai permesso a nessun paese straniero l'accesso ad una tecnologia considerata strategica. A questo si aggiunge una serie di previsioni sulla capacità satellitare considerata a posteriori sovradimensionata, così che la speranza di portare in orbita una gran flotta di prodotti per le telecomunicazioni, si è rivelato semplicemente un sogno. Anzi, un'amara delusione!
La situazione di mercato negativa nel settore spaziale sta portando oggi ad una verticalizzazione dei comparti manufatturieri, riducendo l'indotto e con esso una spessa fetta di manodopera; tuttavia, acquisizioni e fusioni anche in orizzontale non migliorano la criticità della situazione. Le cifre al riguardo parlano chiaro: nel secondo semestre del 2002 Boeing ha messo in libertà (per non dire crudamente licenziato) 1.300 addetti, ovvero il 14% del suo capitale umano. Nello stesso arco di tempo, la francese Alcatel, più vicina alle realtà nostrane si è tolta il 7,5% delle sue risorse. Due esempi, ma se ne potrebbero fare altri, che indicano quanto la strada più facile da percorrere, in caso di ristrettezze di mercato, sia il taglio del costo del lavoro.
L'Italia vive la crisi della scarsità di ordinazioni di satelliti in maniera più attutita. Tuttavia la sua principale impresa manufatturiera del settore, Alenia Spazio, sta pagando scelte di alleanze non avvenute per tempo e di indecisioni dei suoi enti di controllo. La sua risposta alla sofferenza di mercato è stata la richiesta di mobilità lunga per 300 e poi cicli di cassa integrazione ordinaria, ferie incatenate alle esigenze dell'azienda e ancora, blocco degli straordinari e mobilità ordinaria. Passaggi morbidi e ancora più credibili se fossero stati accompagnati da un piano industriale. Dei grandi programmi in essere, c'è il rischio che se non arrivano velocemente alla dirittura finale, il tempo li renda obsoleti. Anche in questo caso, il dubbio dei finanziatori non ha incoraggiato il prosieguo dei lavori.
Si dibatte spesso sull'utilità del continuo sostentamento alle tecnologie spaziali. Il problema viene affrontato puntualmente al varo annuale della legge di bilancio oppure ogni qualvolta altri investimenti più sociali premono su un budget che non è mai sufficiente ai bisogni. Specie se vi è poca informazione sull'intero contesto innovativo del paese.
I costi dello sviluppo nell'ambito delle attività spaziali sono molto elevati e i volumi di mercato così ristretti da non permettere redditività, tanto che non lasciano troppe strade aperte all'autosostentamento. La difficoltà della privatizzazione scaturisce poi dall'estrema riservatezza che impongono alcune progettazioni, utilizzabili, non è mistero per nessuno, anche per la sicurezza nazionale. Si può mai pensare di affidare ad un mercato di consumo, strumenti di rilevamento ambientale o di trasmissioni criptate, con il rischio che finisca nelle fameliche mani di malintenzionati?
Il dubbio allora è se tener aperto il comparto delle attività spaziali oppure chiuderlo. La risposta non può sicuramente essere immediata. Ma sarebbe opportuno che fosse chiarita.
Le principali filiere di interesse -costruzione, lancio, servizi e stazioni terrestri- rappresentano un capitale che porta il paese di appartenenza alla capacità di dialogare con le regioni più avanzate del mondo, ma anche con quelle più povere, per poter offrire la promessa di progresso. Al di fuori di questi perimetri, c'è infatti un territorio desertificato, il digital divide, quell'abisso che allontana tecnologia, informazione ed automazione dal mondo che non ce l'ha.
Le tecnologie spaziali sono per un paese un indice di forza industriale. Non va dimenticato poi che negli investimenti c'è il prezioso capitale umano, senza il quale ogni speranza futura diventa semplicemente… fantascienza. Sarà bene dunque che le industrie misurino la propria capacità oltre che sul settore merceologico di proprio interesse, anche sulla forza lavoro di cui dispongono, con l'attenzione di ottimizzarla piuttosto che depauperarla. La fuga dei cervelli è la peggiore calamità che possa accadere ad un popolo.
La tecnologia è in crescita continua e pretende sempre maggiori spese. Il fatto tuttavia che le attività di ricerca spaziale siano un campo assistito dai finanziamenti pubblici non deve accordare l'uso sconsiderato del suo patrimonio. Per questo meriterebbe anzi maggiore oculatezza. Ne sarebbe chiamata in causa la credibilità e l'autorevolezza di un'intera nazione, specie quando cerca una sua posizione di dignità sui banchi internazionali.
Il contesto competitivo deve dunque basarsi sull'innovazione di prodotto e su una congruente politica industriale che individui gli obiettivi compatibili con i propri know how, guardando al futuro con la stessa consapevolezza di sorvegliare i perimetri della tecnologia, senza abbandonarsi all'onda di un successo raggiunto, né di una leadership momentaneamente ottenuta.
E' da anni che si ripete che le alleanze sono indispensabili alla vita delle imprese. Le realtà frammentarie impediscano la costituzione di una massa critica capace di sostenere la concorrenza estera. Ma gli accordi possono sfuggire all'ultimo minuto e può anche essere comprensibile che alle difficoltà di mercato e di approccio, si associ il coinvolgimento non tanto e non solo di interessi industriali, ma di sovranità nazionali. Dunque è il caso che se il comparto deve seguire il suo corso di europeizzazione -i progetti COSMO SkyMed e GALILEO non lascerebbero dubbi al riguardo- vada alle più alte istituzioni europee il compito di accentrare le attività della politica spaziale continentale, per vigilarne i comparti strategici e per evitarne le dispendiose duplicazioni che affliggono l'industria continentale. E ne mettono in forse il futuro.
E' una grande occasione. Potrebbe essere addirittura un riscatto della politica, che tralascia i suoi sterili litigi per occuparsi di qualcosa che sia molto utile!
Per questo, ben vengano i "libri colorati" della Commissione e si faccia tesoro delle analisi e delle risoluzioni in essi impostate. Ma che non vada dimenticato che la forza di un'impresa è sempre incentrata sulle risorse umane. Disperderle diventa la peggiore risoluzione ad ogni tentativo di risanamento.
Enrico Ferrone

torna all'homepage