UNIONE ITALIANA LAVORATORI METALMECCANICI

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Periodico nazionale di informazione della Uilm
ANNO VIII - NUMERO 6/7 ottobre - novembre 2003

Il lavoro dopo i cinquanta anni

Solo il 40,2% della popolazione italiana fra 50 e 64 anni è attivo. Un tasso che ci colloca all'ultimo posto in Europa per la partecipazione di lavoratori 'anziani ' al mondo produttivo. Il dato è contenuto in uno studio del Censis per Italia Lavoro, l'agenzia tecnica del ministero del Welfare per le politiche attive per l'occupazione, che interpreta le esigenze e le criticità della fascia di lavoratori sopra i 50 anni in Italia e in Europa. Dall'analisi, però, non emerge solo il ritardo del nostro Paese, ma anche una certo fermento del mercato del lavoro di questo segmento. Negli ultimi quattro anni, infatti, la fascia di over 50 è quella che ha registrato l'incremento occupazionale piu' significativo all'interno del mercato del lavoro, passando da 3,89 milioni a 4,41 milioni di lavoratori, con una crescita del 13,3%. La maggior parte dei lavoratori over 50 che hanno cambiato o trovato occupazione, circa il 67%, era in possesso di un titolo di studio superiore, come la laurea o il diploma.
Ad aumentare, sostiene lo studio elaborato per Italia Lavoro, non è solo l'età lavorativa, ma anche "i confini dell'attività", che si allargano sempre più a "tutta una serie di attività informali, come l'assistenza e la cura all'interno della famiglia, il cui peso economico e lavorativo è nel nostro Paese ancora estremamente rilevante". Malgrado infatti gli anziani over 65 registrino un allontanamento progressivo dalla vita lavorativa (sono sempre meno quelli che lavorano), la fascia di popolazione in uscita dall'età adulta, ma non ancora entrata in quella anziana (50-64 anni) sembra essere sempre più attaccata al proprio lavoro. E lo dimostra l'andamento positivo dell'occupazione di questo segmento. Il numero complessivo di occupati compresi in questa fascia d'età è, infatti, passato (dal 1998 al 2002) da 3mln891mila a 4mln411mila (+13,3%), con incrementi particolarmente significativi tra i possessori di titoli di studio superiori. Infatti il 33,4% dei nuovi occupati fra 50 e 64 anni è laureato, il 33,3% diplomato, il 44,2% ha un titolo di scuola superiore non valido per l'accesso universitario. Solo il 20,7% ha una licenza media, mentre è addirittura diminuito il numero di chi è in possesso della sola licenza elementare (-13,3%).
"L'incremento occupazionale - si legge nello studio del Censis per Italia Lavoro - è stato sostenuto da una crescita dei livelli generali di partecipazione al lavoro". Infatti, le forze lavoro sono aumentate del 12,3% e il tasso di attività è passato dal 39,4% al 42,9%. Un incremento che è stato possibile anche per "una progressiva apertura di nuovi sbocchi occupazionali" o per il "venir meno delle difficoltà esistenti, testimoniato da una contrazione del tasso di disoccupazione, passato dal 4,7% al 3,8%". E tuttavia, le dinamiche positive degli ultimi quattro anni, non sembrano riuscire ad intaccare più di tanto il primato negativo che il nostro Paese detiene, a livello internazionale, nell'occupazione degli over 50.Con il 40,2% di persone fra 50 e 64 anni attive, il nostro era, nel 2000, il Paese con la più bassa partecipazione al lavoro di questa fascia d'età. Meglio di noi, anche se di poco, l'Ungheria (40,6%), il Belgio (42,1%) e il Lussemburgo (43%). Invece il Paese con la più alta partecipazione al lavoro degli over 50 è l'Islanda (89,9%), seguita dalla Svezia (76,1%), dalla Norvegia (73,7%), dalla Svizzera (72,5%), dalla Danimarca (67,9%), dalla Corea (64,3%), dalla Finlandia e Gran Bretagna (63,4%), dal Portogallo (61,1%), dalla Repubblica Ceca (58,4%), dalla Germania e Irlanda (54,6) , dai Paesi Bassi (53,1%), dalla Francia (52,7%), dalla Grecia e Spagna (49,2%) e dalla Polonia (48%). Lo studio realizzato dal Censis per Italia Lavoro osserva che la bassa partecipazione degli over 50 all'occupazione "trova solo parzialmente conferma in un'uscita anticipata dal mercato dei lavoratori italiani rispetto a quelli europei". Piuttosto, si conferma che "la bassa propensione al lavoro sia da tempo un problema strutturale del nostro Paese, decisamente più accentuato nelle classi d'età più alte". Infatti, in l'Italia l'età media di uscita dall'attività è di 59,4 anni, di poco al di sotto della media europea (59,9) e superiore a quella di Austria (58,5) e Lussemburgo (55,3).Dietro l'inattività degli italiani over 50 sembra nascondersi non tanto una "cronica disaffezione verso il lavoro, quanto piuttosto un orientamento a destinare in età matura la propria capacità lavorativa verso attività di tipo informale".
Tra gli italiani over 50 inattivi (che sono il 59,8% della popolazione tra i 50 e 64 anni), la quota di pensionati, pur rilevante, si attesta sul 28,9%, ovvero su valori vicini a quelli di altre realtà europee, mentre risulta decisamente superiore la quota di quanti attribuiscono la loro uscita dal mercato del lavoro agli impegni familiari: ben il 18,4% degli italiani. Si tratta di un dato decisamente elevato che, con la sola eccezione del Lussemburgo (dove questa quota sale al 25,2%), non trova riscontro in nessun'altra realtà europea. Immediatamente dopo l'Italia, solo Grecia e Spagna presentano, infatti, una quota significativa di adulti impegnati in attività familiari (rispettivamente del 12,7% e 12,5%), mentre negli altri Paesi, l'incidenza di questa motivazione all'inattività scende su livelli più bassi. Il dato, secondo lo studio Censis per Italia Lavoro, sottolinea il ruolo di supplenza giocato dalla famiglia italiana nei confronti delle istituzioni, e in particolare la tendenza a farsi carico dei disagi che possono insorgere in seno al nucleo familiare. Basti pensare che, secondo un'indagine Censis del 2002, ben il 93,4% degli anziani non autosufficienti viene assistito dalle proprie famiglie, di cui il 76% interamente ed esclusivamente dai membri della famiglia e il 17,4% con il supporto di operatori socio-sanitari. Ancora, ben il 49,6% dei bambini con meno di 2 anni viene affidato ai nonni quando non si trova al nido o con i genitori."L'assenza di una struttura avanzata di servizi a supporto della famiglia - osserva lo studio - costituisce sicuramente uno dei principali ostacoli alla partecipazione al mercato del lavoro di tipo formale, ma non a quello informale, cioè a quelle attività economiche svolte tra le mura domestiche". È qui che l'impegno degli over 50 costituisce un contributo non trascurabile alla nostra economia. Ed è forse proprio ricorrendo al ruolo della famiglia, che può essere spiegata un'altra anomalia. Guardando infatti ai tassi di attività di tale gruppo generazionale, emerge che le regioni del Sud sono quelle che presentano infatti i tassi più alti d'Italia di attività della popolazione tra i 55 e 64 anni, a partire dalla Calabria che, con 38,3 persone attive ogni 100 abitanti, supera di oltre 10 punti percentuali il Nord . Seguono il Molise (37%), la Campania (35,9%), il Lazio (35,2), la Sicilia (34,6), l'Abruzzo (34,5%), la Basilicata 33,9%), la Puglia (33,3%), la Sardegna (31,2%), la toscana (30,7%), il Trentino Alto-Adige (30,3%), Emilia Romagna (30,1%), Marche (29,7%), Valle d'Aosta (29,1), Umbria (28,3%), Liguria (27,2%), Veneto (27%), Lombardia (24,8%), il Friuli Venezia Giulia (24,3%) e Piemonte (23,9%).
(da Labitalia)

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