UNIONE ITALIANA LAVORATORI METALMECCANICI

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Periodico nazionale di informazione della Uilm
ANNO IX - n° 3  marzo 2004

La contrattazione di secondo livello può far saltare quelle gabbie salariali
che già esistono

Nel nostro Paese, esiste  una “questione salariale”: le quote di aumento contrattate dai CCNL secondo le modalità del Protocollo Ciampi, hanno approssimativamente salvaguardato il potere d’acquisto fino alla metà del 2003.
Poi, con il superamento della politica concertativa da parte del Governo, la circolazione dell’Euro senza nessuna azione e controllo per evitare speculazioni, si è modificata radicalmente la dinamica inflattiva, rendendo aleatorio il meccanismo fondato sul tasso di inflazione programmata e verificabile nei rinnovi contrattuali.
Contestualmente emergono altri due elementi:
·         Il ricorso generalizzato a rapporti di lavoro “anomali”, a prescindere da considerazioni di altro genere circa la discontinuità e i problemi che genera, produce compressione non soltanto dei salari di fatto (basti pensare all’esclusione dei premi di risultato), ma anche di quelli contrattuali (vedi i CFL).
·         La contrattazione di secondo livello che dovrebbe redistribuire gli incrementi di produttività, non si è assolutamente estesa dal 1993, e continua ad escludere la maggior parte dei lavoratori dipendenti. Ciò deprime i salari come dato medio, ma occorre rilevare che anche per le stesse realtà dove la contrattazione integrativa si fa, l’entità salariale erogata è generalmente modesta rispetto a quanto definito nei CCNL.
La somma di questi fattori ha determinato per i lavoratori dipendenti una riduzione dei loro consumi e delle loro aspettative di consumo.
Su questo fenomeno si è soffermata la recente inchiesta del Corriere della Sera sull’impoverimento dei ceti medi. Fenomeno che presenta intensità diversa a seconda del contesto locale: la propensione al consumo in Lombardia è differente da quella di altre realtà geografiche, così come differenti sono i costi. E’ vero che la contrattazione aziendale consente di differenziare i salari, ma vale soltanto per le imprese dove questa si esercita.
Oggi, su questo livello di contrattazione, in Lombardia si è coinvolto soltanto il 40% dei lavoratori metalmeccanici. Da qui l’esigenza di promuovere la contrattazione territoriale, non aggiuntiva a quella aziendale, per generalizzare a tutti i lavoratori metalmeccanici la contrattazione di secondo livello.
Per acquisire risultati concreti con le piattaforme territoriali è necessario aprire una riflessione sui contenuti da inserire e le modalità della loro gestione. La contrattazione di secondo livello può avere esplicite funzioni di scambio, in genere una maggiore flessibilità della prestazione a fronte di riconoscimenti retributivi, oppure, ridistribuire ai salari parte dei risultati economici dell’impresa sotto diversi parametri, quali ad esempio la produttività, il fatturato, gli utili, la qualità, gli scarti, ecc. 
Occorre estendere questa esperienza dal livello aziendale a quella del contesto socio-economico. Esiste una produttività di sistema territoriale variabile e diversa tra realtà e realtà. Si tratta in sostanza di definire dei dati ricostruibili e misurabili in un contesto omogeneo come il territorio.
In questo modo, fermo restando la contrattazione a livello nazionale dei minimi tabellari, che dovrà mantenere l’obiettivo di tutelare il potere d’acquisto medio del salario per tutti i lavoratori metalmeccanici, verrebbero meno la propensione a scaricare sul CCNL altre componenti di costo (tipo l’incremento di produttività media del settore) che in realtà si giustificano soltanto con l’esigenza di compensare attraverso il minimo tabellare quei lavoratori di cui si sa a priori che non avranno nessun aumento dalla contrattazione integrativa. In generale, la certezza di un livello decentrato di contrattazione produrrà una diminuzione della tensione sui CCNL, ed espanderà il ruolo negoziale delle categorie sul territorio, restituendo loro funzioni e rappresentatività.
In questa logica può essere opportuno aprire una riflessione circa la sua natura “variabile” del salario territoriale contrattato nel 2° livello, se da un lato esso deve essere aderente a fattori variabili per definizione, dall’altro il percepito nelle contrattazioni precedenti deve anche poter essere consolidato, in condizioni e con cadenze da contrattare, alla voce “salario territoriale di 2° livello”.
In questo contesto appare ragionevole ipotizzare un ritorno alla durata triennale del CCNL, che potrebbe esso stesso definire contenuti e livelli ai quali attivare la contrattazione di 2° livello.
La paura del ritorno alle “gabbie salariali” va respinta. Le gabbie erano infatti strumenti che automaticamente predeterminavano in modo rigido i livelli retributivi nei vari territori senza tener conto delle priorità ed emergenze che esistevano.
Qui siamo invece ad una proposta che vuole recuperare soggettività e titolarità delle OO.SS. al negoziato nel territorio, nessun automatismo predeterminato e discriminatorio, ma promozione della libertà di contrattazione e dell’autonomia negoziale per rispondere adeguatamente alle priorità individuate.
Paradossalmente, viceversa, il permanere dell’attuale situazione costituisce una vera “gabbia” per i lavoratori delle aree più sviluppate e per i lavoratori delle aree meno sviluppate.
Questo modello di contrattazione apre infine la possibilità reale di negoziare e rappresentare sul territorio in modo compiuto i problemi del lavoro tenendo conto anche delle deleghe sempre maggiori al territorio su molti temi propri della contrattazione tra le parti sociali.
Sugli Enti bilaterali va fatta una specifica riflessione sull’importanza di definire nelle sedi territoriali un punto di riferimento comune per le piccole imprese e i loro lavoratori. Sede che dovrà essere adeguata ed attrezzata per rispondere alle nuove esigenze che emergono nel territorio come il mercato del lavoro, le nuove tutele, la formazione, i fondi di assistenza sanitaria, l’ambiente e sicurezza.
Strumenti questi già in essere in altre categorie e nel settore artigiani ma che dovranno essere estesi anche ai lavoratori metalmeccanici dell’industria.
Giuliano Gritti

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