UNIONE ITALIANA LAVORATORI METALMECCANICI

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Periodico nazionale di informazione della Uilm
ANNO IX - 4-5  aprile/maggio 2004

Una lezione 


Una lezione universitaria non fa in genere notizia. Quando però l'aula si riempie di più generazioni di allievi che partecipano all'invito di un ateneo che rende omaggio ad un vecchio maestro, le cose cambiano un po'. Se poi l'aula diventa l'occasione per un dibattito su cosa ha rappresentato l'insegnamento e lo sviluppo di un intero settore produttivo, allora veramente val la pena riflettere e commentare.
Così a Napoli, all'aula magna della facoltà di ingegneria dell'Università Federico II. Dopo tre ore di lezione, senza un'interruzione, con oltre 200 ex allievi che nel corso di trent'anni si sono susseguiti a ingegneria aeronautica, Luigi Pascale, poco più che ottantenne, chiamato ad una lezione magistrale sulla qualità di volo in cento anni di aviazione.
Ma, come dicevamo, dal dibattito che ne è seguito, si giunge a considerazioni molto amare.
Napoli infatti ha conosciuto il primo volo a motore nel 1910 e fin dai primi venti della Grande Guerra, ha contribuito con le sue giovani industrie a soddisfare ogni sforzo del fabbisogno militare.
Ma anche, Napoli dell'eccellenza di ATITECH e dei suoi impianti al lato della pista di Capodichino e dell'Accademia Aeronautica, l'università del volo. Tutti capisaldi che al termine della lezione di Pascale sono stati ricordati dai suoi allievi più vicini, che hanno voluto sottolineare quanto sia stato importante il comparto aeronautico in Campania e come lo si deve difendere e sostenere per salvaguardare non solo e non semplicemente l'occupazione ma anche una tecnologia di avanguardia che tiene legata la regione ai principali centri industriali del mondo.
Il clima assente da nebbie e fastidiose perturbazioni ha consentito da sempre un'alta attività di volo a Napoli ma ha anche permesso che le lavorazioni più ingombranti avvenissero all'aperto, evitando l'angusto dei piccoli capannoni adattati al momento, così come è accaduto in California, patria di industrie come Lockheed e Douglas. Da questo spunto, alla Napoli dei grandi impianti: Aerfer, tre milioni e mezzo di metri quadrati, il grande polo avveniristico, da cui è uscito il primo aereo italiano con ala a freccia. La macchina italiana che nel 1956 sfondò Mach uno.
E poi Aeritalia e Alenia. Alfa Avio. Partenavia, Vulcan Air, Tecnam. Grandi e piccole industrie. Grandi progetti e progetti grandi.
Per non parlare degli impianti di manutenzione. Se le compagnie aeree utilizzassero come veicolo promozionale più il saper fare della propria manutenzione e meno il "Vi Voliamo Bene", acquisirebbero tanto in immagine.
C'è stato un momento che in Italia per l'aviazione tradizionale è stato d'oro, con un gran numero di aerei in progettazione. Passata la fase iniziale, la fase espositiva, ci si accorse che era più faticoso del previsto trovare sbocchi nei mercati perché nessuno si era preoccupato che le industrie nazionali stavano sfornando prototipi di duplicazioni. E allora vi fu il rifugio nel mercato della difesa, ovvero del settore protetto. E così, mentre ci si occupava fin troppo dell'aviazione dei generali, lo Stato italiano affondava l'aviazione generale. Con molta leggerezza, senza preoccuparsi che con tasse e balzelli non solo cancellava posti di lavoro e tecnologia sofisticata, ma anche tante prospettive future.
E' stato proprio grazie a questa leggerezza dello Stato, che Napoli non è diventata la Lock Haven (Pennsylvania) italiana, ovvero la città dei piccoli Piper e che il nome Partenavia non sia identificato con quello degli aerei leggeri.
Lo Stato non ha creduto nell'aeronautica, così come oggi non crede nello Spazio.
Val la pena ripetere ancora una volta che un paese non può considerarsi progredito se non dispone di produzioni strategiche: aeronautica, spazio, chimica, elettronica. In assenza di queste industrie sul territorio nazionale, non c'è niente che possa garantire l'indipendenza o costringere alla dipendenza.
Si tratta di tecnologie costose, ma che generano posti di lavoro, ovvero ricchezza per un paese e per un'intera nazione. Ma anche una tecnologia così alta da poter servire ad iniziative dell'impresa privata.
Ci sono degli investimenti che per una serie di ragioni anche di strategia, non sono pensabili di affidare ai privati, ma se poi una parte di questa strategia viene affidata al momento giusto ai privati, è così che nasce un'imprenditoria forte, che non ha nessun bisogno di assistenzialismo. E cioè, iniziative che lo Stato non deve finanziare ma nemmeno vessare e perseguitare.
Questa forse la lezione.

Enrico Ferrone

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