UNIONE ITALIANA LAVORATORI METALMECCANICI

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Periodico nazionale di informazione della Uilm
ANNO IX - 6-7  giugno/luglio 2004

INTERVENTO DI ALDO ANIASI
"Patto di Roma"   

               
E' per me un privilegio partecipare a questo incontro accanto ai dirigenti del movimento sindacale di oggi, impegnati per reclamare una società più giusta, per difendere le condizioni di vita dei lavoratori, per chiedere che il mondo viva in pace ed anche per impedire che la Costituzione della Repubblica Italiana, frutto della lotta di liberazione combattuta sessanta anni fa, venga stravolta.
Una Costituzione fra le più civili del mondo che all'articolo primo afferma che la Repubblica è fondata sul lavoro.
Una particolare soddisfazione è in tutti noi perché i dissensi fra le tre grandi Confederazioni dei lavoratori sono alle nostre spalle e si è ritrovata l'unità operativa senza la quale tutto sarebbe più fragile.
Grazie compagni e amici per questa opportunità che consente di ricordare, di riflettere a chi ha vissuto la stagione dell'Unità sindacale costruita mentre le truppe della Germania nazista, con la complicità dei fascisti, calpestavano la nostra terra, compivano stragi, eccidi, torturavano, assassinavano, deportavano chi si batteva per la libertà.
La mia generazione non può dimenticare quei lavoratori, uomini e donne, operai, impiegati, contadini, intellettuali che nelle fabbriche, negli uffici sostenevano la Resistenza armata affrontando le feroci criminali repressioni e che a migliaia pagarono con la deportazione e con la vita quella loro resistenza disarmata.
Noi oggi ricordiamo con animo riconoscente un avvenimento di eccezionale importanza: la decisione di unire in una sola organizzazione i lavoratori del Sud e del Nord il che influì positivamente sulla guerra allora in corso e creò le condizioni per la ricostruzione pacifica in un dopoguerra che doveva traghettarci verso la democrazia.
Oggi appare un miracolo quello che sessanta anni fa portò il mondo del lavoro a stringere un patto unitario dopo due decenni che lo avevano visto diviso in Italia, in Francia negli anni della lotta antifascista.
Voi sapete, quanto me, quanto sulla caduta del fascismo abbiano influito gli scioperi del marzo del '43: indebolirono le già fragili strutture del regime e fecero pressione sulla tenuta della monarchia, che portava la responsabilità di aver avallato e sostenuto il fascismo, i suoi crimini, la guerra.
Quegli scioperi furono non solo organizzati e attuati per rivendicare migliori condizioni economiche ma anche contro l'oppressione fascista, contro la guerra, la fame, le privazioni, le basse paghe; la situazione politica consentì agli antifascisti militanti di trovare sostegno in un indistinto complesso di risentimenti della popolazione contro le disfatte, le disgrazie causate dal fascismo.
Fra i militanti antifascisti e la popolazione si stabilì una solidarietà che si rafforzò nei mesi successivi.
Con la caduta del fascismo, il 25 luglio del '43 al ritorno anche se brevissimo dei Partiti Politici, si creò la possibilità di manifestare pubblicamente rabbia, risentimenti a lungo covati e repressi.
In quei giorni si gridava "Viva Matteotti", il martire assassinato 19 anni prima, si venivano a conoscere i nomi dei dirigenti sindacali antifascisti: Buozzi, Roveda e Grandi e altri divennero la bandiera dei lavoratori.
Gli antifascisti usciti dal carcere, dal confino, rientrati dalla Francia assunsero la direzione del movimento, la maggioranza dei lavoratori in quelle giornate si ritrovò unita in un comune sentire: la presa di coscienza delle ingiustizie, dei torti subiti, e la speranza in parole nuove e a lungo ignorate: libertà, giustizia, pace, il che determinò una indistinta generica solidarietà: la solidarietà di classe.
Oggi mi sembra di sentire quello slogan di allora: "uniti si vince" che fu inconsciamente la molla che impresse forza al movimento unitario.
I dirigenti con lunga esperienza sindacale quali Bruno Buozzi, Giuseppe Di Vittorio, Achille Grandi, Oreste Lizzadri ebbero il merito, l'intelligenza di interpretare quei sentimenti, quelle aspirazioni e di operare perché essi si traducessero in fatti.
La Resistenza nata dopo l'8 settembre, dopo il proclama del Generale Kesserling, che dichiarò il territorio italiano sottoposto alle leggi e ai tribunali tedeschi, fu un potente detonatore per innescare l'unità del mondo del lavoro.
Da quel momento la parola d'ordine del C.L.N. fu : "unità di popolo, unità dei partiti".
La Resistenza fu quindi plurale ma unitaria. Consentitemi ricordi personali: gli operai dell'Isotta Fraschini di Milano, che ci rifornivano di armi, quelli della Rumianca, dell'Ilva, della Montedison, che ci sostenevano nella Valdossola con concrete iniziative, non ci chiedevano a quale partito appartenessimo.
Era una unità fra diversi, unità dialettica, unità faticosamente raggiunta, imposta dalla durezza della lotta.
Gli scioperi per rivendicazioni economiche e contro gli invasori si susseguivano. Nel dicembre '43 a Sesto San Giovanni, allora grande centro industriale, lo sciopero fu totale; nei primi del gennaio '44 si estesero alla Franco Tosi di Legnano, alla Comerio di Busto Arsizio ed in altre località.
Hitler e il generale Wolf preoccupati per l'allargarsi della rivolta inviarono in Lombardia il generale Zimmerman con pieni poteri per reprimere ogni sedizione.
Il 28 febbraio 1944 l'Avanti! clandestino (edizione milanese) aveva riportato l'o.d.g. del C.L.N. - A.I. d'appoggio allo sciopero proclamato dal Comitato segreto d'iniziativa, sostenendo che si trattava di uno sciopero generale insurrezionale.
Per una settimana, dal 1° marzo, alcune centinaia di migliaia di lavoratori avevano bloccato tutte le produzioni belliche.
La reazione, la repressione delle SS fu brutale.
Queste vicende consolidarono i vincoli unitari del mondo del lavoro e furono il terreno che consentì la stipulazione di quello storico Patto di Roma firmato in una giornata drammatica, il 3 giugno del '44.
Le forze armate germaniche in fuga da Roma, quel giorno, trascinarono con se 14 patrioti e li assassinarono alla "Storta" sulla via Salaria.
Fra essi, Bruno Buozzi che era stato il lungimirante ideatore di quel disegno unitario e il paziente costruttore dell'accordo. Ne si dimentichi che fra le carte che gli trovarono al momento dell'arresto c'erano anche le bozze dei primi progetti per la realizzazione della unità sindacale.
Buozzi, Grandi, Roveda e Di Vittorio erano stati i sostenitori dell'autonomia delle organizzazioni sindacali dalla interferenza dei partiti.
La perdita di Buozzi lasciò un vuoto incolmabile.
Buozzi era stato un dirigente sindacale che aveva fatto la sua esperienza nei primi anni del fascismo, quale Segretario Generale della F.I.O.M. che aveva firmato il contratto nazionale di lavoro di 8 ore.
Nel 1925, da deputato socialista per alcune legislature, espatriato per sfuggire alle persecuzioni, aveva continuato il suo impegno fra miseria, stenti, carcere, campo di concentramento; riprese il suo posto di combattimento in Italia alla caduta del fascismo.
Quel Patto che oggi noi onoriamo fu recepito con grande consenso nell'Italia del centro e del Nord nella quale operava attivamente la Resistenza.
Nell'estate del '44 le "Repubbliche Partigiane", nelle zone liberate, accolsero ed attuarono le indicazioni del Patto di Roma.
Ricordo che il 16 settembre il "Governo Provvisorio dell'Ossola" nel
suo primo atto dava indicazioni per costituire la Camera del lavoro, per l'organizzazione unitaria delle forze lavoratrici e per la costituzione e l'adesione alla C.G.I.L., suggerendo inoltre di affrontare con urgenza gli aumenti salariali per "rimediare " - si affermava - ai più impellenti bisogni delle masse lavoratrici.
Era la presa d'atto di quanto aveva stabilito la Direzione Provvisoria della C.G.I.L. (Confederazione Generale Italiana del Lavoro): promuovere l'organizzazione e l'inquadramento del movimento sindacale in tutte le regioni liberate unitamente alla rigorosa difesa degli interessi dei lavoratori e sostenere con tutte le proprie forze la guerra di liberazione totale del Paese.
Quel patto firmato da Giuseppe Di Vittorio, Emilio Canevari, Achille Grandi si collegava, si intrecciava indissolubilmente con la Resistenza.
Non era stato facile, come sapete, quell'accordo.
Le questioni sulle quali c'era dissenso non erano di poco conto: la scelta del sindacato unitario ma non unico, l'assoluta autonomia dallo Stato, dai partiti e dal padronato, la validità giuridica dei contratti di lavoro ed altro ancora.
Non erano state di poco conto le questioni affrontate e discusse.
Emilio Canevari, Giuseppe Di Vittorio, Achille Grandi operarono unitamente ai dirigenti dei partiti politici per superare contrasti e dissensi, operarono per una mediazione che interpretava e faceva suoi sentimenti e volontà della base dei lavoratori.
Importante fu l'apporto di Nenni, Amendola, Gronchi.
La scelta dell'indipendenza dei partiti, ma non della indifferenza, fu allora la formula che consentì di avere il consenso dei dirigenti dei partiti politici che non avevano partecipato alla stesura del Patto.
Nacquero da quel Patto le Camere del Lavoro, in netta rottura con le concezioni corporative di categoria.
Quel Patto di Roma ebbe grande importanza nei 10 mesi successivi, nei quali i lavoratori dell'Italia occupata si sentirono uniti strettamente nel combattere per migliori condizioni di vita ma anche per la difesa del patrimonio industriale dai tentativi di sabotaggio e di rapina dei tedeschi in fuga.
Il primo congresso della C.G.I.L. tenutosi a Napoli dal 28 gennaio al 1° febbraio del '45 quando ancora la guerra era in corso manifestò grande entusiasmo per una unità che facilitava l'affermarsi di una democrazia fondata sulla tolleranza delle diversità nel segno della solidarietà e del rispetto delle minoranze.
Fu quel Patto, quell'unità che favorì un dopoguerra meno conflittuale, che consentì di unire i lavoratori del Nord e del Sud che avevano vissuto due esperienze così diverse; quel Patto fu uno strumento per ridurre la diffusa aggressività del dopoguerra che rischiava di esplodere e di rendere più difficile la convivenza e la ricostruzione industriale, economica e civile del Paese.
L'Avanti! del 1° maggio '45 salutava la C.G.I.L. che - così affermava - costituisce uno strumento a garanzia per il risanamento morale e materiale del Paese.
Una unità del mondo del lavoro che evitò situazioni drammatiche dopo l'uscita delle sinistre dal governo, che sopravvisse, anche se di poco, alle laceranti elezioni del 1948.
L'incontro di oggi non è stato concepito dagli organizzatori solo come la celebrazione di un "grande avvenimento" di 60 anni fa, ma come l'occasione per una riflessione valida per l'oggi.
Quattro anni di unità, cinquantasei anni di divisioni delle organizzazioni.
Ma quel patto ha lasciato un ombra lunga sulle vicende vissute dal nostro Paese in questi decenni.
Nonostante la guerra fredda, le laceranti divisioni ideologiche, il mondo del lavoro è riuscito nei momenti drammatici a ritrovare rapporti e comportamenti unitari e solidali.
Lo stragismo dei fascisti, il terrorismo delle brigate rosse sono stati vinti grazie alla memoria storica di quella unità e solidarietà, con metodi democratici, senza leggi speciali.
Dopo ogni attacco, dopo ogni minaccia, le piazze si sono riempite di cittadini, di lavoratori sotto questo segno, senza distinzioni di appartenenza sindacale.
Unitariamente furono respinti i tentativi di chi voleva portare il Paese verso soluzioni autoritarie.
Una riflessione si impone sul ruolo del movimento delle organizzazioni dei lavoratori di oggi e del futuro.
Per la società di domani caratterizzata da innovazioni tecnologiche che imporranno di cambiare lavoro più di una volta nella vita e forme di lavoro più flessibili, sarà indispensabile una istruzione e formazione professionale permanente per rendere meno precaria l'occupazione e per migliorare la qualità della vita.
Già oggi sono migliaia le imprese con meno di 10 dipendenti, sono centinaia di migliaia i lavoratori non sindacalizzati che non sono tutelati e quindi privi di rappresentanza.
Una moltitudine di lavoratori fruisce di contratti atipici, il popolo della partita IVA e di altre forme contrattuali è in forte crescita.
Oggi come 60 anni fa, l'esigenza della unità delle organizzazioni dei lavoratori e degli imprenditori impone organizzazioni unitarie e sottratte a legami con i Partiti il cui ruolo, per sua natura, è diverso.
Una riflessione che si amplia in considerazione di un sistema elettorale maggioritario che influisce in modo assai diverso che nel passato nei rapporti governo - sindacati - imprese.
Non sono un esperto di problemi sindacali e non mi permetto di intervenire su problematiche che non conosco a sufficienza.
Ma non posso ignorare gli eccezionali compiti che deve affrontare oggi il movimento sindacale: la difesa dell'ambiente, della salute, dell'occupazione, delle condizioni di vita delle donne, degli anziani, della integrazione dei lavoratori immigrati e via dicendo. Consentitemi però di coltivare un sogno, un'utopia, che si realizzi l'unità dei lavoratori in una sola grande confederazione: quella unità fra diversi che è stata vincente 60 anni fa e nei primi anni del dopoguerra, darebbe un grande contributo al superamento della crisi e al declino economico e sociale in atto, favorirebbe il dialogo del mondo del lavoro con quelle forze della Società e delle imprese che sono disponibili alla concertazione.
I sogni, le utopie sono sempre stati la molla che hanno generato le grandi realizzazioni della storia.
Aldo Aniasi

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